Il Salmo responsoriale (2)
Il salmo responsoriale viene così descritto dall'Ordinamento generale del Messale Romano al n 61. "Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, che è parte integrante della liturgia della Parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione del popolo di Dio. Il salmo responsoriale deve corrispondere o ciascuna lettura e deve essere preso normalmente dal Lezionario. Conviene che il salmo responsoriale si esegua con il canto, almeno per quanto riguarda la risposta del popolo. Il salmista, quindi, o cantore del salmo canto o recita i versetti del salmo all'ambone o in altro luogo adatto; tutto l'assemblea ascolta restando seduta, e partecipa di solito con il ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Ma perché il popolo possa più facilmente ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e di salmi per i diversi tempi dell'anno e per le diverse categorie di Santi. Questi testi si possono utilizzare al posto di quelli corrispondenti olle letture ogni volta che il salmo viene cantato. Se il salmo non può essere contato, venga proclamato nel modo più adatto o favorire la meditazione del popolo di Dio. Al posto del salmo assegnato nel Lezionario si può cantare o il responsorio graduale tratto dal Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico dal Graduale simplex, così come sono indicati nei rispettivi libri".
Viene quindi messo in particolare risalto il carattere meditativo e di risposta del salmo responsoriale rispetto alla prima lettura e viene più volte ribadito che esso si presta particolarmente al canto. Pur essendo previste anche altre soluzioni, quella prevalente ci dice che esso deve essere cantato in alternanza tra una voce solista e l'assemblea.
Rispondere a Dio con il canto per tutti i suoi benefici non è certo usanza recente. Anzi, fin dall'Antico Testamento questo è il modo più diffuso per esprimere a Dio non solo gratitudine, ma anche tristezza, abbandono ecc... Infatti nel libro dei Salmi troviamo espressi tutti gli stati d'animo, dal più gioioso al più triste. Come espressero la loro gratitudine gli israeliti per essere stati salvati dall'attacco degli egiziani attraverso il Mar Rosso? Mosè e i fanciulli di Israele, accompagnati con il timpano dalla profetessa Maria innalzarono il loro canto al Signore: "Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato...". E più avanti viene detto che "Maria fece cantare loro il ritornello" (Es 15,1-21). Come innalzarono il loro ringraziamento a Dio, Debora e Barak per la loro vittoria contro il terribile nemico Sisara? Cantando al loro salvatore: "Ascoltate, re, porgete gli orecchi, o principi... " (Gdc 4 e 5,2-31). E Anna come ringraziò Dio per avergli donato il figlio Samuele? "La mia fronte si innalza grazie al mio Dio..." (1 Sam 2,1-10). E molti altri esempi si potrebbero fare per dire che i sentimenti più profondi vengono espressi nel canto.
Nel Nuovo Testamento le cose non cambieranno. Basti pensare alla risposta per la più sconvolgente notizia che si poteva dare ad una giovane donna ebrea: che avrebbe partorito il figlio di Dio. Maria risponde intonando il suo Magnificat. E' chiaro che nella tradizione biblica giudaico-cristiana è fortemente radicato il bisogno di esprimere, con un linguaggio diverso da quello puramente verbale, la vasta gamma dei sentimenti che l'uomo prova rispondendo al piano di Dio su di lui (qualunque esso sia). E così sarà anche per la prima comunità cristiana.
L'uso mutuato dalla sinagoga del canto dei salmi, sarà uno dei cardini della liturgia cristiana fin dalle origini. Nella storia del canto liturgico occidentale abbiamo avuto due tipi di salmodia: a) lettura continua del salmo, senza ritornello, eseguita dal solista o dal coro (salmodia in directum); b) alla lettura del salmo vengono interposte delle frasi che vengono ripetute in determinati punti dello stesso (salmodia responsoriale). La salmodia in directum sarà particolarmente in voga fino al IV secolo. Dallo stesso IV secolo si diffonderà la salmodia responsoriale, forse introdotta dall'oriente da Sant'Ambrogio. Infatti sappiamo che la stessa era molto in voga in oriente. Già la pellegrina Eteria (che viaggio in oriente alla fine del IV secolo lasciandoci un fondamentale resoconto di questo viaggio in cui riferisce lo svolgimento delle liturgie di quei luoghi) diceva che "si rispondeva ai salmi" (psalmi respondentur). Sant'Agostino, nella sua Enarrationes in Psalmos (46,1) ci dice che "il salmo cantato abbiamo ascoltato e allo stesso, cantando, abbiamo risposto". Anche nelle Costituzioni Apostoliche (380) troviamo scritto che: "Dopo le letture, proclamate due per volta, un altro salmodierà gli inni di Davide e il popolo risponderà salmodiando i ritornelli."
Già nel III secolo il solista del salmo non era un laico. Questo viene attestato da Sant'Ippolito nella sua Traditio. Chi cantava il salmo era un ministro ordinato allo scopo, come già attestato nel Concilio di Laodicea (343-381), al canone XV: "Nessuno canti nella Chiesa eccetto i salmisti canonici per cantare i salmi, i quali salgono sull'ambone e cantano sul libro." Gregorio Magno stabilì che i diaconi non fossero tra coloro che potevano cantare i salmi (ma potevano leggere il Vangelo nelle messe solenni). Questo perché, stando anche a san Gerolamo, sembra che questo ruolo aveva dato adito allo sfoggio di più di qualche vanità e, quando si eleggeva un diacono, si badava più alla bella voce che alla rettitudine della vita.
Sant'Agostino, in un bellissimo passaggio delle Confessioni (X, 50) ci ricorda come il vescovo alessandrino Atanasio facesse modulare su pochissime note i salmi, quasi fossero più declamati che cantati, mentre egli compiangeva il peccato che compiva quando si faceva irretire più dalla melodia che dalle parole che venivano cantate. Aumentando la difficoltà e il virtuosismo richiesto per il canto dei salmi, gli stessi, probabilmente tra il quinto e il sesto secolo, si ridussero ad un ritornello e ad un solo versetto. Il salmo dopo la prima lettura diverrà esclusivo appannaggio degli esperti solisti della schola, che salivano sull'ambone (gradus) per eseguire questo canto, forse il più virtuosistico tra quelli presenti nel repertorio gregoriano. Ecco perché esso, da salmo responsoriale si trasformerà in graduale.
Proprio la schola, qualche secolo dopo e nei paesi francofoni, comincerà a sperimentare sui graduali delle melodie contrapposte ma in accordo con la melodia principale del graduale e questo sarà l'inizio della polifonia. Nel tardo rinascimento, si consoliderà anche la pratica di sostituire al graduale un brano organistico (canzon dopo l'Epistola) e questa pratica sarà viva fino al Concilio Vaticano II (vedi: I. Schuster, Liber Sacromenctorum, parte III, pp 73-77; F. Rainoldi, Psallite sapienter, pp 145-152).
La restituzione del salmo responsoriale all'uso dei fedeli ha posto anche molti problemi forse ancora irrisolti. Giustamente l’Ordinamento generale del Messale Romano auspica vivamente l'intervento del popolo e che esso sia cantato. Ora, distinguerei quattro basilari modalità di esecuzione del salmo responsoriale:
In ognuno di questi quattro modelli c'è del buono. Forse, come dice qualcuno, non e necessario fissarsi solo su un modello ma si può variare o anche contaminare uno con l'altro" La mia esperienza mi suggerisce una riflessione che è anche una preferenza: il modello c, quello in uso negli Stati Uniti è a mio avviso il più interessante e coinvolgente, sia per il compositore (che può creare composizioni che diano anche soddisfazione alla sua capacità tecnica), sia per il salmista (in quanto, se le melodie sono ben congegnate, può veramente dare vita ad un momento di meditazione e preghiera coinvolgente), sia per l'assemblea (la melodia ben fatta tiene vivo l'ascolto ed e senz'altro più vicina alla capacità di fruizione musicale della stragrande maggioranza delle persone che frequentano le nostre parrocchie).
Da noi il canto del salmo responsoriale non è divenuto ancora pratica ampiamente diffusa; si spera che nel futuro questo canto sia occasione per composizioni nuove, concepite per le mutate esigenze rituali e che questa forma liturgica rifiorisca con più vigore e forza.
(Aurelio Porfiri, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa", n. 8, 2004)
Viene quindi messo in particolare risalto il carattere meditativo e di risposta del salmo responsoriale rispetto alla prima lettura e viene più volte ribadito che esso si presta particolarmente al canto. Pur essendo previste anche altre soluzioni, quella prevalente ci dice che esso deve essere cantato in alternanza tra una voce solista e l'assemblea.
Rispondere a Dio con il canto per tutti i suoi benefici non è certo usanza recente. Anzi, fin dall'Antico Testamento questo è il modo più diffuso per esprimere a Dio non solo gratitudine, ma anche tristezza, abbandono ecc... Infatti nel libro dei Salmi troviamo espressi tutti gli stati d'animo, dal più gioioso al più triste. Come espressero la loro gratitudine gli israeliti per essere stati salvati dall'attacco degli egiziani attraverso il Mar Rosso? Mosè e i fanciulli di Israele, accompagnati con il timpano dalla profetessa Maria innalzarono il loro canto al Signore: "Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato...". E più avanti viene detto che "Maria fece cantare loro il ritornello" (Es 15,1-21). Come innalzarono il loro ringraziamento a Dio, Debora e Barak per la loro vittoria contro il terribile nemico Sisara? Cantando al loro salvatore: "Ascoltate, re, porgete gli orecchi, o principi... " (Gdc 4 e 5,2-31). E Anna come ringraziò Dio per avergli donato il figlio Samuele? "La mia fronte si innalza grazie al mio Dio..." (1 Sam 2,1-10). E molti altri esempi si potrebbero fare per dire che i sentimenti più profondi vengono espressi nel canto.
Nel Nuovo Testamento le cose non cambieranno. Basti pensare alla risposta per la più sconvolgente notizia che si poteva dare ad una giovane donna ebrea: che avrebbe partorito il figlio di Dio. Maria risponde intonando il suo Magnificat. E' chiaro che nella tradizione biblica giudaico-cristiana è fortemente radicato il bisogno di esprimere, con un linguaggio diverso da quello puramente verbale, la vasta gamma dei sentimenti che l'uomo prova rispondendo al piano di Dio su di lui (qualunque esso sia). E così sarà anche per la prima comunità cristiana.
L'uso mutuato dalla sinagoga del canto dei salmi, sarà uno dei cardini della liturgia cristiana fin dalle origini. Nella storia del canto liturgico occidentale abbiamo avuto due tipi di salmodia: a) lettura continua del salmo, senza ritornello, eseguita dal solista o dal coro (salmodia in directum); b) alla lettura del salmo vengono interposte delle frasi che vengono ripetute in determinati punti dello stesso (salmodia responsoriale). La salmodia in directum sarà particolarmente in voga fino al IV secolo. Dallo stesso IV secolo si diffonderà la salmodia responsoriale, forse introdotta dall'oriente da Sant'Ambrogio. Infatti sappiamo che la stessa era molto in voga in oriente. Già la pellegrina Eteria (che viaggio in oriente alla fine del IV secolo lasciandoci un fondamentale resoconto di questo viaggio in cui riferisce lo svolgimento delle liturgie di quei luoghi) diceva che "si rispondeva ai salmi" (psalmi respondentur). Sant'Agostino, nella sua Enarrationes in Psalmos (46,1) ci dice che "il salmo cantato abbiamo ascoltato e allo stesso, cantando, abbiamo risposto". Anche nelle Costituzioni Apostoliche (380) troviamo scritto che: "Dopo le letture, proclamate due per volta, un altro salmodierà gli inni di Davide e il popolo risponderà salmodiando i ritornelli."
Già nel III secolo il solista del salmo non era un laico. Questo viene attestato da Sant'Ippolito nella sua Traditio. Chi cantava il salmo era un ministro ordinato allo scopo, come già attestato nel Concilio di Laodicea (343-381), al canone XV: "Nessuno canti nella Chiesa eccetto i salmisti canonici per cantare i salmi, i quali salgono sull'ambone e cantano sul libro." Gregorio Magno stabilì che i diaconi non fossero tra coloro che potevano cantare i salmi (ma potevano leggere il Vangelo nelle messe solenni). Questo perché, stando anche a san Gerolamo, sembra che questo ruolo aveva dato adito allo sfoggio di più di qualche vanità e, quando si eleggeva un diacono, si badava più alla bella voce che alla rettitudine della vita.
Sant'Agostino, in un bellissimo passaggio delle Confessioni (X, 50) ci ricorda come il vescovo alessandrino Atanasio facesse modulare su pochissime note i salmi, quasi fossero più declamati che cantati, mentre egli compiangeva il peccato che compiva quando si faceva irretire più dalla melodia che dalle parole che venivano cantate. Aumentando la difficoltà e il virtuosismo richiesto per il canto dei salmi, gli stessi, probabilmente tra il quinto e il sesto secolo, si ridussero ad un ritornello e ad un solo versetto. Il salmo dopo la prima lettura diverrà esclusivo appannaggio degli esperti solisti della schola, che salivano sull'ambone (gradus) per eseguire questo canto, forse il più virtuosistico tra quelli presenti nel repertorio gregoriano. Ecco perché esso, da salmo responsoriale si trasformerà in graduale.
Proprio la schola, qualche secolo dopo e nei paesi francofoni, comincerà a sperimentare sui graduali delle melodie contrapposte ma in accordo con la melodia principale del graduale e questo sarà l'inizio della polifonia. Nel tardo rinascimento, si consoliderà anche la pratica di sostituire al graduale un brano organistico (canzon dopo l'Epistola) e questa pratica sarà viva fino al Concilio Vaticano II (vedi: I. Schuster, Liber Sacromenctorum, parte III, pp 73-77; F. Rainoldi, Psallite sapienter, pp 145-152).
La restituzione del salmo responsoriale all'uso dei fedeli ha posto anche molti problemi forse ancora irrisolti. Giustamente l’Ordinamento generale del Messale Romano auspica vivamente l'intervento del popolo e che esso sia cantato. Ora, distinguerei quattro basilari modalità di esecuzione del salmo responsoriale:
- il solista declama i versetti su toni fissi (cantillazione) con cadenze melodiche poco sviluppate alla fine di ogni inciso del versetto (solitamente quattro) e il popolo risponde con un ritornello;
- il solista declama i versetti su toni fissi senza cadenze melodicamente libere, alla maniera dei diffusissimi toni salmodici di Gelineau ("Purificami o Signore", "Il Signore è il mio pastore"...) e il popolo risponde con un ritornello;
- il solista declama i versetti su moduli melodici veri e propri, frequentemente con adattamenti ritmici del testo per "costringerlo" nello schema strofico (salmodia propria della prassi negli Stati Uniti) e il popolo risponde con un ritornello;
- il solista declama il salmo da solo senza intervento del popolo che ascolta (graduali gregoriani) e con eventualmente l'intervento di qualche cantore preparato nel ritornello.
In ognuno di questi quattro modelli c'è del buono. Forse, come dice qualcuno, non e necessario fissarsi solo su un modello ma si può variare o anche contaminare uno con l'altro" La mia esperienza mi suggerisce una riflessione che è anche una preferenza: il modello c, quello in uso negli Stati Uniti è a mio avviso il più interessante e coinvolgente, sia per il compositore (che può creare composizioni che diano anche soddisfazione alla sua capacità tecnica), sia per il salmista (in quanto, se le melodie sono ben congegnate, può veramente dare vita ad un momento di meditazione e preghiera coinvolgente), sia per l'assemblea (la melodia ben fatta tiene vivo l'ascolto ed e senz'altro più vicina alla capacità di fruizione musicale della stragrande maggioranza delle persone che frequentano le nostre parrocchie).
Da noi il canto del salmo responsoriale non è divenuto ancora pratica ampiamente diffusa; si spera che nel futuro questo canto sia occasione per composizioni nuove, concepite per le mutate esigenze rituali e che questa forma liturgica rifiorisca con più vigore e forza.
(Aurelio Porfiri, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa", n. 8, 2004)