L'inno di lode (2)
Il "Gloria a Dio nell'alto dei cieli" è uno dei canti più antichi
e venerabili della liturgia romana. Nell'IGMR (al n 53 della terza edizione tipica) si dice che
"il Gloria è un inno antichissimo e venerabile
con il quale lo Chiesa, radunata nello Spirito Santo, glorifica e supplica Dio
Padre e l'Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un altro.
Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l'opportunità, dal cantore o dalla
schola, ma viene cantato da tutti simultaneamente con lo schola, oppure dalla stessa
schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori
che si alternano. Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di
Avvento e Quaresima; e inoltre nelle solennità e feste, e in celebrazioni di
particolare solennità."
In questa istruzione, rispetto alla precedente, troviamo due annotazioni aggiuntive si aggiunge che il testo del Gloria non dovrebbe essere rimpiazzato da nessun altro testo e che esso può essere intonato dal sacerdote ma anche da un cantore o dal coro stesso. Il Gloria, come già detto, è inno antichissimo. Essendo un inno che non aveva il testo direttamente derivato dalle sacre Scritture perché era di redazione privata, figurava tra quelle composizioni chiamate "Psalmi idiotici". Esso è chiamato inoltre "dossologia maggiore", per distinguerlo da quella minore che è il "gloria al Padre". Nel Medioevo viene definito anche "Hymnus angelicus", in quanto le sue prime parole sono quelle pronunciate dagli angeli alla nascita di Gesù.
Già nel IV secolo è attestata la sua presenza nelle Costituzioni Apostoliche. Appare anche nel Codice Alessandrino del Nuovo Testamento, redatto nel V secolo ma che alcuni studiosi suppongono risalire a qualche secolo prima (addirittura al II). Il testo latino più antico di questo inno (l'originale è, naturalmente, in greco) lo troviamo in un antifonario del monastero irlandese di Bangor del VII secolo.
Nella liturgia bizantina quest'inno all'inizio veniva cantato per il mattutino e in questa forma si è continuato a cantare a Milano (cioè fuori dalla Messa) fino al secolo XVI. A Roma era invece elemento di solennità usato nelIa Messa per alcune particolari celebrazioni. Il suo uso nella celebrazione rimarrà un appannaggio della sola Roma fino al secolo XVI (vedi: L. Schuster, "Liber Sacramenctorum", parte III, p 70-73; F. Rainoldi "Psallite sapienter", p 136-140).
Esistono numerose versioni nelle melodie del canto gregoriano di quest'inno. Alcune più semplici e schematiche ne fanno presupporre un impiego che coinvolgesse anche il popolo. Altre (come il Gloria "cum Jubilo", che è composizione tarda, rispetto al repertorio classico del gregoriano) sono di certo concepite per I'esecuzione di cantori esperti.
Anche questo inno sarà oggetto della fantasia dei compositori di tropi (come abbiamo visto nel numero precedente per il Kyrie). Molti testi verranno inseriti a riempire il testo ufficiale.
Durante il Rinascimento, il Gloria verrà trattato, come del resto tutte le altre parti dell'ordinario, nella forma musicale del mottetto (basato sul principio dell'imitazione tematica). Il testo viene trattato in maniera particolare. L'inno è diviso in tre parti.
La prima parte va dall'inizio al "Filius Patris" ("Figlio del Padre"). ln mezzo c'è il "qui tollis" ("tu che togli") che ha carattere meditativo e riflessivo, laddove la prima parte aveva carattere più gioioso. La terza parte inizia con "quoniam tu solus Sanctus" ("perché tu solo il Santo") e ha carattere giubilante e conclusivo. Nel testo troviamo alcuni punti che sono sottolineati da gesti rituali del sacerdote, come segno di particolare riverenza alle parole "Adoramus Te" e "Jesu Christe". Arrivato a queste parole, il compositore usava "rallentare" il flusso delle imitazioni e il testo veniva detto in forma omoritmica (non imitata) favorendo un clima di preghiera e contemplazione. Del resto questo uso verrà conservato, più o meno a seconda dei periodi storici, fino alla riforma promossa dal Concilio Vaticano II. Il Gloria è uno degli inni favoriti dai compositori degli ultimi quattro secoli in quanto offre grandi possibilità di sciorinare la tecnica del compositore. L'inizio giubilante permette di mettere in atto gli effetti musicali più straordinari. Il Gloria ha molto sofferto dopo la riforma liturgica. Non è facile da far cantare, vista la lunghezza del testo. Molti compositori moderni hanno provato a sperimentare vari Gloria in lingua volgare, ma non mi risulta che nessuno si sia veramente imposto nella prassi esecutiva della Chiesa italiana. Ripeto, per la lunghezza del testo non è semplice da cantare così come è dall'inizio alla fine. L'unico Gloria che ancora molti cantano e ricordano non è in italiano, ma è quello della tanto (ab-) usata Messa "de Angelis".
Cominciamo col dire che bisogna fare più attenzione al testo. Nel Messale Tridentino e fino a Pio XII si diceva attenzione alla punteggiatura: "perché Tu solo il Santo. Tu solo il Signore. Tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo. Con lo Spirito Santo... ". Il punto dopo le parole "Gesù Cristo" induce in errore, slegando il nome del Signore dall'ultima parte dell'inno: "Con lo Spirito Santo, nella Gloria di Dio Padre". Maggiore chiarificazione su questo punto verrà data da Annibale Bugnini e Carlo Braga, nell’"Ordo Hebdomadae Sanctae", voluto da Pio Xll (16 novembre 1955). La versione che viene data è: "perché Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l'Altissimo: Gesù Cristo, con lo Spirito Santo, nello gloria di Dio Padre. Amen." Il commento che viene fornito chiarifica questa scelta: "Questa interpunzione è imposta dai concetti imposti nell'inno: lo glorificazione del Padre, per mezzo del Figlio, con lo Spirito Santo". Nel Messale di Paolo VI entrerà sostanzialmente questa scelta anche se con qualche modifica della punteggiatura ("perche Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen."). Nella traduzione ufficiale italiana si andrà un po' qua e un po' là (S. Mazzarello, "Errore nel "Gloria in excelsis?" in Liturgia, 1983, p 51-54). Il rischio è di perdere la dimensione fortemente trinitaria di questo finale. E tutte le melodie della tradizione, più o meno portano fuori, rispettando nella musica la versione tridentina. Tra le maniere di esecuzione del Gloria oggi più osservate c'e quella (invero molto facilitante) di far eseguire all'assemblea un ritornello con le parole iniziali in italiano o in latino (vedi il famosissimo e diffusissimo "Gloria di Lourdes") e di far eseguire ad un solista o a un coro le restanti parti del testo a mò di strofe salmodiche. Da noi questo inno ancora fatica a trovare una versione musicale che sia largamente condivisa e più fedele alla struttura innica del canto (anche se ne esistono molte, alcune molto ben fatte ma che non si impongono). Sembra però, che quest'idea del Gloria responsoriale sia propria alla nostra stagione postconciliare. Nelle altre confessioni cristiane, come quella anglicana, esistono molte versioni del Gloria recenti, ma nessuna ha forma responsoriale. Andrew Brownell, in un suo interessante articolo sull'argomento ("Rethinking the Responsorial Gloria" in "Adoremus Bulletin" 2001), attribuisce quest'uso ad una sorta di influenza molto pesante delle forme della folk music (alternanza refrain -strofe). Anzi, egli dice che "buone ragioni esistono per rigettare [questo prassi del Gloria responsoriale] come un disastro liturgico, musicale e semantico." Certo, anch'io penso che I'ideale sarebbe che I'assemblea potesse partecipare in modo diverso e più ampio al canto. E' un problema che attende ancora una buona soluzione.
C'e da dire che il Gloria ha anche una fisionomia particolare: è un canto-rito; questo significa che la ritualità, in quel momento, si esplica proprio nel canto del Gloria, non accompagnando questo canto con altri gesti celebrativi. Saper coinvolgere I'assemblea nell'inno non è semplice. Esiste la soluzione dell'esecuzione dell'inno da parte della schola per intero. lo penso che questa soluzione sia valida laddove esista un'assemblea educata all'ascolto "orante" e guidata nella comprensione di quello che si va cantando. Da noi mi sembra almeno problematico... Certo che, laddove si cantasse un Gloria piu elaborato, per non appesantire i riti di introduzione della Messa sarà bene farlo precedere da un Kyrie meno impegnativo (Robert Philippe, "Cantare la liturgia", p 27). Il canto di quest'inno, insomma, presenta ancora problemi pastorali che devono essere risolti. Sarà un problema sperare che un'assemblea si possa appropriare di testi e musiche più elaborate, fino a che non si tornerà ad impiegare professionalmente musicisti di chiesa che a questo servizio dedichino non i ritagli di tempo, ma il loro lavoro pieno e intenso.
(Aurelio Porfiri, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa", n. 7, 2004)
In questa istruzione, rispetto alla precedente, troviamo due annotazioni aggiuntive si aggiunge che il testo del Gloria non dovrebbe essere rimpiazzato da nessun altro testo e che esso può essere intonato dal sacerdote ma anche da un cantore o dal coro stesso. Il Gloria, come già detto, è inno antichissimo. Essendo un inno che non aveva il testo direttamente derivato dalle sacre Scritture perché era di redazione privata, figurava tra quelle composizioni chiamate "Psalmi idiotici". Esso è chiamato inoltre "dossologia maggiore", per distinguerlo da quella minore che è il "gloria al Padre". Nel Medioevo viene definito anche "Hymnus angelicus", in quanto le sue prime parole sono quelle pronunciate dagli angeli alla nascita di Gesù.
Già nel IV secolo è attestata la sua presenza nelle Costituzioni Apostoliche. Appare anche nel Codice Alessandrino del Nuovo Testamento, redatto nel V secolo ma che alcuni studiosi suppongono risalire a qualche secolo prima (addirittura al II). Il testo latino più antico di questo inno (l'originale è, naturalmente, in greco) lo troviamo in un antifonario del monastero irlandese di Bangor del VII secolo.
Nella liturgia bizantina quest'inno all'inizio veniva cantato per il mattutino e in questa forma si è continuato a cantare a Milano (cioè fuori dalla Messa) fino al secolo XVI. A Roma era invece elemento di solennità usato nelIa Messa per alcune particolari celebrazioni. Il suo uso nella celebrazione rimarrà un appannaggio della sola Roma fino al secolo XVI (vedi: L. Schuster, "Liber Sacramenctorum", parte III, p 70-73; F. Rainoldi "Psallite sapienter", p 136-140).
Esistono numerose versioni nelle melodie del canto gregoriano di quest'inno. Alcune più semplici e schematiche ne fanno presupporre un impiego che coinvolgesse anche il popolo. Altre (come il Gloria "cum Jubilo", che è composizione tarda, rispetto al repertorio classico del gregoriano) sono di certo concepite per I'esecuzione di cantori esperti.
Anche questo inno sarà oggetto della fantasia dei compositori di tropi (come abbiamo visto nel numero precedente per il Kyrie). Molti testi verranno inseriti a riempire il testo ufficiale.
Durante il Rinascimento, il Gloria verrà trattato, come del resto tutte le altre parti dell'ordinario, nella forma musicale del mottetto (basato sul principio dell'imitazione tematica). Il testo viene trattato in maniera particolare. L'inno è diviso in tre parti.
La prima parte va dall'inizio al "Filius Patris" ("Figlio del Padre"). ln mezzo c'è il "qui tollis" ("tu che togli") che ha carattere meditativo e riflessivo, laddove la prima parte aveva carattere più gioioso. La terza parte inizia con "quoniam tu solus Sanctus" ("perché tu solo il Santo") e ha carattere giubilante e conclusivo. Nel testo troviamo alcuni punti che sono sottolineati da gesti rituali del sacerdote, come segno di particolare riverenza alle parole "Adoramus Te" e "Jesu Christe". Arrivato a queste parole, il compositore usava "rallentare" il flusso delle imitazioni e il testo veniva detto in forma omoritmica (non imitata) favorendo un clima di preghiera e contemplazione. Del resto questo uso verrà conservato, più o meno a seconda dei periodi storici, fino alla riforma promossa dal Concilio Vaticano II. Il Gloria è uno degli inni favoriti dai compositori degli ultimi quattro secoli in quanto offre grandi possibilità di sciorinare la tecnica del compositore. L'inizio giubilante permette di mettere in atto gli effetti musicali più straordinari. Il Gloria ha molto sofferto dopo la riforma liturgica. Non è facile da far cantare, vista la lunghezza del testo. Molti compositori moderni hanno provato a sperimentare vari Gloria in lingua volgare, ma non mi risulta che nessuno si sia veramente imposto nella prassi esecutiva della Chiesa italiana. Ripeto, per la lunghezza del testo non è semplice da cantare così come è dall'inizio alla fine. L'unico Gloria che ancora molti cantano e ricordano non è in italiano, ma è quello della tanto (ab-) usata Messa "de Angelis".
Cominciamo col dire che bisogna fare più attenzione al testo. Nel Messale Tridentino e fino a Pio XII si diceva attenzione alla punteggiatura: "perché Tu solo il Santo. Tu solo il Signore. Tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo. Con lo Spirito Santo... ". Il punto dopo le parole "Gesù Cristo" induce in errore, slegando il nome del Signore dall'ultima parte dell'inno: "Con lo Spirito Santo, nella Gloria di Dio Padre". Maggiore chiarificazione su questo punto verrà data da Annibale Bugnini e Carlo Braga, nell’"Ordo Hebdomadae Sanctae", voluto da Pio Xll (16 novembre 1955). La versione che viene data è: "perché Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l'Altissimo: Gesù Cristo, con lo Spirito Santo, nello gloria di Dio Padre. Amen." Il commento che viene fornito chiarifica questa scelta: "Questa interpunzione è imposta dai concetti imposti nell'inno: lo glorificazione del Padre, per mezzo del Figlio, con lo Spirito Santo". Nel Messale di Paolo VI entrerà sostanzialmente questa scelta anche se con qualche modifica della punteggiatura ("perche Tu solo il Santo, Tu solo il Signore, Tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen."). Nella traduzione ufficiale italiana si andrà un po' qua e un po' là (S. Mazzarello, "Errore nel "Gloria in excelsis?" in Liturgia, 1983, p 51-54). Il rischio è di perdere la dimensione fortemente trinitaria di questo finale. E tutte le melodie della tradizione, più o meno portano fuori, rispettando nella musica la versione tridentina. Tra le maniere di esecuzione del Gloria oggi più osservate c'e quella (invero molto facilitante) di far eseguire all'assemblea un ritornello con le parole iniziali in italiano o in latino (vedi il famosissimo e diffusissimo "Gloria di Lourdes") e di far eseguire ad un solista o a un coro le restanti parti del testo a mò di strofe salmodiche. Da noi questo inno ancora fatica a trovare una versione musicale che sia largamente condivisa e più fedele alla struttura innica del canto (anche se ne esistono molte, alcune molto ben fatte ma che non si impongono). Sembra però, che quest'idea del Gloria responsoriale sia propria alla nostra stagione postconciliare. Nelle altre confessioni cristiane, come quella anglicana, esistono molte versioni del Gloria recenti, ma nessuna ha forma responsoriale. Andrew Brownell, in un suo interessante articolo sull'argomento ("Rethinking the Responsorial Gloria" in "Adoremus Bulletin" 2001), attribuisce quest'uso ad una sorta di influenza molto pesante delle forme della folk music (alternanza refrain -strofe). Anzi, egli dice che "buone ragioni esistono per rigettare [questo prassi del Gloria responsoriale] come un disastro liturgico, musicale e semantico." Certo, anch'io penso che I'ideale sarebbe che I'assemblea potesse partecipare in modo diverso e più ampio al canto. E' un problema che attende ancora una buona soluzione.
C'e da dire che il Gloria ha anche una fisionomia particolare: è un canto-rito; questo significa che la ritualità, in quel momento, si esplica proprio nel canto del Gloria, non accompagnando questo canto con altri gesti celebrativi. Saper coinvolgere I'assemblea nell'inno non è semplice. Esiste la soluzione dell'esecuzione dell'inno da parte della schola per intero. lo penso che questa soluzione sia valida laddove esista un'assemblea educata all'ascolto "orante" e guidata nella comprensione di quello che si va cantando. Da noi mi sembra almeno problematico... Certo che, laddove si cantasse un Gloria piu elaborato, per non appesantire i riti di introduzione della Messa sarà bene farlo precedere da un Kyrie meno impegnativo (Robert Philippe, "Cantare la liturgia", p 27). Il canto di quest'inno, insomma, presenta ancora problemi pastorali che devono essere risolti. Sarà un problema sperare che un'assemblea si possa appropriare di testi e musiche più elaborate, fino a che non si tornerà ad impiegare professionalmente musicisti di chiesa che a questo servizio dedichino non i ritagli di tempo, ma il loro lavoro pieno e intenso.
(Aurelio Porfiri, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa", n. 7, 2004)