Quello che l'orecchio non ha mai udito (di Joseph Gelineau)
Può capitare, in una Messa, che i canti siano stati eseguiti correttamente, le letture siano state lette intelligentemente, i riti siano stati compiuti con cura e tuttavia I'insieme è rimasto freddo e noioso. Che cosa mancava dunque in questa celebrazione?
Vi mancava forse l'essenziale: un dinamismo che viene dal soffio dello Spirito, una tensione del desiderio verso il messaggio liberatore, una gioia di sapersi salvati nella speranza, un fervore nelle domande indirizzate al Padre di ogni bontà, il calore di una medesima famiglia riunita, una vibrazione comune dell'assemblea nell'attesa della venuta del regno, un autentico alleluia di azione di grazie...
È caratteristico della liturgia che I'invisibile si manifesti solo nel visibile, che l'al-di-là avvenga nel qui-e-ora dei simboli, delle posture, delle parole e anche... dei suoni. È
necessario un incontro tra il crescere del desiderio e la discesa della grazia offerta.
Questo vale per il canto liturgico come per una esecuzione musicale: gli uditori, dimenticando i suoni e I'interprete, sono come portati altrove, al punto da dire talvolta: «Era sublime».
Rimane tuttavia una differenza essenziale: nella liturgia, anche se la chiesa è povera, anche se il predicatore è modesto, anche se le voci dei cantori non sono né molto intonate né ben fuse, il miracolo può sempre prodursi: ciò che l'occhio non può vedere, l'orecchio non può udire, ciò che le nostre mani non possono fare, capita qui e ora, grazie alla fede comune dei fratelli radunati e attraverso il soffio dello Spirito che fa sorgere la creazione nuova nel Cristo risorto.
Come il predicatore dice a se stesso: «Io non sono né un oratore né un sapiente, ma non è con Lui che io annuncio la buona novella?».
E il presidente dell'eucaristia può dirsi: «I miei gesti sono proprio poveri per rendere qui presente ciò che il Signore ha fatto alla Cena; ma è Lui che fa questo attraverso di me per coloro che condivideranno il pane».
E il cantore si dirà: «La mia voce non è molto bella, ma la precisione e Lo slancio della mia preghiera saranno un dono dello Spirito Santo, che usa di me come di un'arpa tra le sue dita».
E ciascuno potrà pensare: «La nostra assemblea è proprio inadeguata per cantare a Dio una lode degna di Lui! Ma non siamo noi in comunione con il popolo dei salvati, e non è il nostro cantico unanime a salire verso l'Altissimo?».
È da un certo raccoglimento che scaturirà l'inno.
È lo spirito desto che ascolterà la parola.
È da un desiderio insaziabile
che sorgerà lo slancio della preghiera.
Ogni rito, ogni parola, ogni suono sono chiamati a diventare, attraverso e nella liturgia, questo canto ispirato della chiesa che, santificando l'uomo, rende a Dio ogni gloria.
Cantare la lode del Dio ineffabile,
salmodiare la Parola ispirata,
gridare il gemito dei mortali,
lasciar sgorgare l'azione di grazie dei risorti
oltrepassa infinitamente l'arte musicale degli umani
persino la più acuta o la più raffinata.
Perché nella voce della chiesa in preghiera,
si ascolta il canto del Prediletto al Padre suo;
nel Soffio dello Spirito d'amore,
si eleva in ogni lingua e dialetto
l'immenso appello dell'universo perituro
verso la creazione nuova,
grazie all'inno celeste dei salvati
che ripetono senza fine il cantico di Mosé
antico e sempre nuovo:
Cantiamo al Signore
perché ha fatto risplendere la sua gloria.
(Joseph Gelineau, I canti della messa, Edizioni Messaggero Padova, 2004, pp. 119-121)
Può capitare, in una Messa, che i canti siano stati eseguiti correttamente, le letture siano state lette intelligentemente, i riti siano stati compiuti con cura e tuttavia I'insieme è rimasto freddo e noioso. Che cosa mancava dunque in questa celebrazione?
Vi mancava forse l'essenziale: un dinamismo che viene dal soffio dello Spirito, una tensione del desiderio verso il messaggio liberatore, una gioia di sapersi salvati nella speranza, un fervore nelle domande indirizzate al Padre di ogni bontà, il calore di una medesima famiglia riunita, una vibrazione comune dell'assemblea nell'attesa della venuta del regno, un autentico alleluia di azione di grazie...
È caratteristico della liturgia che I'invisibile si manifesti solo nel visibile, che l'al-di-là avvenga nel qui-e-ora dei simboli, delle posture, delle parole e anche... dei suoni. È
necessario un incontro tra il crescere del desiderio e la discesa della grazia offerta.
Questo vale per il canto liturgico come per una esecuzione musicale: gli uditori, dimenticando i suoni e I'interprete, sono come portati altrove, al punto da dire talvolta: «Era sublime».
Rimane tuttavia una differenza essenziale: nella liturgia, anche se la chiesa è povera, anche se il predicatore è modesto, anche se le voci dei cantori non sono né molto intonate né ben fuse, il miracolo può sempre prodursi: ciò che l'occhio non può vedere, l'orecchio non può udire, ciò che le nostre mani non possono fare, capita qui e ora, grazie alla fede comune dei fratelli radunati e attraverso il soffio dello Spirito che fa sorgere la creazione nuova nel Cristo risorto.
Come il predicatore dice a se stesso: «Io non sono né un oratore né un sapiente, ma non è con Lui che io annuncio la buona novella?».
E il presidente dell'eucaristia può dirsi: «I miei gesti sono proprio poveri per rendere qui presente ciò che il Signore ha fatto alla Cena; ma è Lui che fa questo attraverso di me per coloro che condivideranno il pane».
E il cantore si dirà: «La mia voce non è molto bella, ma la precisione e Lo slancio della mia preghiera saranno un dono dello Spirito Santo, che usa di me come di un'arpa tra le sue dita».
E ciascuno potrà pensare: «La nostra assemblea è proprio inadeguata per cantare a Dio una lode degna di Lui! Ma non siamo noi in comunione con il popolo dei salvati, e non è il nostro cantico unanime a salire verso l'Altissimo?».
È da un certo raccoglimento che scaturirà l'inno.
È lo spirito desto che ascolterà la parola.
È da un desiderio insaziabile
che sorgerà lo slancio della preghiera.
Ogni rito, ogni parola, ogni suono sono chiamati a diventare, attraverso e nella liturgia, questo canto ispirato della chiesa che, santificando l'uomo, rende a Dio ogni gloria.
Cantare la lode del Dio ineffabile,
salmodiare la Parola ispirata,
gridare il gemito dei mortali,
lasciar sgorgare l'azione di grazie dei risorti
oltrepassa infinitamente l'arte musicale degli umani
persino la più acuta o la più raffinata.
Perché nella voce della chiesa in preghiera,
si ascolta il canto del Prediletto al Padre suo;
nel Soffio dello Spirito d'amore,
si eleva in ogni lingua e dialetto
l'immenso appello dell'universo perituro
verso la creazione nuova,
grazie all'inno celeste dei salvati
che ripetono senza fine il cantico di Mosé
antico e sempre nuovo:
Cantiamo al Signore
perché ha fatto risplendere la sua gloria.
(Joseph Gelineau, I canti della messa, Edizioni Messaggero Padova, 2004, pp. 119-121)