Il canto finale (1)
Il Messale prevede i seguenti riti di conclusione: brevi avvisi, se necessari, il saluto e la benedizione del sacerdote, il congedo del popolo, il bacio dell'altare e poi l'inchino profondo all'altare.
Non c'è alcun cenno al canto finale. Come comportarsi?
Certamente non è proibito, sembra opportuno sciogliere l'assemblea o con un canto di tutti o più opportunamente con un canto della schola, che può eseguire brani di autori classici. Sarebbe anche adatto un brano organistico che rende molto bene il senso della festa e della gioia.
(Antonio Parisi, in "Lodate Dio nel suo santuario", Stilo Editrice, 2007, pp. 88-89)
Se, un tempo, la fine della celebrazione era occasione per eseguire un canto popolare che non aveva potuto trovare spazio all'interno della celebrazione, poiché il solo canto autorizzato nelle «messe cantate» era il gregoriano, dopo il Vaticano II c'è stata la tendenza a sopprimere il «canto di uscita». Forse è opportuno distinguere il «canto finale» dal «canto di uscita»!
Ad ogni modo, se si canta l'inno dopo la comunione, il canto finale non ha più alcun senso: esso costituirebbe un doppione del canto precedente. Al contrario, se è stato cantato un processionale di comunione, si potrebbe anche cantare una grande acclamazione per chiudere la celebrazione. Si potrebbe scegliere allora una strofa di un inno di lode che rappresenterebbe una sorta di spiegamento del Rendiamo grazie a Dio. Utilizzando un'immagine potremmo descrivere questo canto come il «bouquet finale» della messa.
Un «canto di uscita» presupporrebbe che l'assemblea esca cantando, il che può avvenire solo in occasione di circostanze eccezionali. Se si dispone di un organista, spetta a lui l'uscita, magari con un prolungamento strumentale della grande acclamazione finale.
(Robert Philippe, in Cantare la Liturgia, ELLEDICI, 2003, p. 60)
Non c'è alcun cenno al canto finale. Come comportarsi?
Certamente non è proibito, sembra opportuno sciogliere l'assemblea o con un canto di tutti o più opportunamente con un canto della schola, che può eseguire brani di autori classici. Sarebbe anche adatto un brano organistico che rende molto bene il senso della festa e della gioia.
(Antonio Parisi, in "Lodate Dio nel suo santuario", Stilo Editrice, 2007, pp. 88-89)
Se, un tempo, la fine della celebrazione era occasione per eseguire un canto popolare che non aveva potuto trovare spazio all'interno della celebrazione, poiché il solo canto autorizzato nelle «messe cantate» era il gregoriano, dopo il Vaticano II c'è stata la tendenza a sopprimere il «canto di uscita». Forse è opportuno distinguere il «canto finale» dal «canto di uscita»!
Ad ogni modo, se si canta l'inno dopo la comunione, il canto finale non ha più alcun senso: esso costituirebbe un doppione del canto precedente. Al contrario, se è stato cantato un processionale di comunione, si potrebbe anche cantare una grande acclamazione per chiudere la celebrazione. Si potrebbe scegliere allora una strofa di un inno di lode che rappresenterebbe una sorta di spiegamento del Rendiamo grazie a Dio. Utilizzando un'immagine potremmo descrivere questo canto come il «bouquet finale» della messa.
Un «canto di uscita» presupporrebbe che l'assemblea esca cantando, il che può avvenire solo in occasione di circostanze eccezionali. Se si dispone di un organista, spetta a lui l'uscita, magari con un prolungamento strumentale della grande acclamazione finale.
(Robert Philippe, in Cantare la Liturgia, ELLEDICI, 2003, p. 60)