Il canto di ingresso (2)
L'introito o antifona d'ingresso è quel testo cantato (ma anche letto, se non si avessero i mezzi musicali adeguati) che apre la celebrazione eucaristica.
Il termine introito deriverebbe dalla parola latina intra (dentro) e dal verbo ire (andare). Naturalmente si deve preferire sempre la possibilità di cantare I'introito, piuttosto che recitarlo. Infatti si concede di leggere I'antifona quando essa, come detto, non può essere cantata per motivi di mancanza di mezzi adeguati. La preminenza dell'antifona cantata viene sollecitata anche nella lnstitutio Generalis Missali Romani (IGMR) al n 25, dove si dice che "dopo che il popolo si e radunato, inizia il canto d'ingresso eseguito durante l'entrata del sacerdote con il diacono e i ministri".
Gli scopi dell'antifona d'ingresso sono:
E' molto interessante riflettere su queste quattro funzioni, pratiche, teologiche e psicologiche. In questo momento la Chiesa si affida al codice musicale per sollecitare I'emotività dei fedeli convenuti e orientarli al mistero che si sta per celebrare. L'antifona d'ingresso si trova in quella sezione della celebrazione che viene designata come "riti di introduzione".
L'origine dell'antifona d'introito e incerta. Si possono vedere alcune prefigurazioni dell'introito anche in altre culture e in altre civiltà religiose. Mi viene qui da pensare ai Carmina Triumphalia dei Romani, laddove il generale vincitore veniva accolto al suono di acclamazioni di vario tipo. Questo prefigura I'accoglienza dell'assemblea cristiana che ricevono il sacerdote e i ministri e acclama al Signore che viene. Ma ricordiamo che questa processione di sacerdoti e ministri è anche immagine del nostro peregrinare e ricorda il pellegrinaggio del popolo ebraico al grande Tempio di Gerusalemme, quando cantava i salmi cosiddetti "ascensionali" (dal salmo 120 al salmo 134) Si saliva al monte del Signore: "Voi innalzerete il vostro conto come nella notte in cui si celebra una festa; avrete lo gioia nel cuore come chi parte al suono del flauto, per recarsi al monte del Signore, alla roccia d'Israele." (lsaia 50, 29). O anche nel Nuovo Testamento: "Mentre erano in viaggio per salire o Gerusalemme, Gesù camminava davanti o loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: "Ecco, noi saliamo o Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi." (Marco 10,32-33a). Quindi abbiamo messo dentro anche I'ambiente ebraico e tre elementi ci sembrano venire fuori da quanto detto finora, elementi che si ritroveranno in tutta la storia delI'introito. Essi sono: I'accogliere, il procedere, l'ascendere. Questo elemento "ascensionale" dell'introito ci viene chiarito meglio dall'IGMR quando dice che il sacerdote al termine della processione d'ingresso "sale l'altare e lo bacia in segno di venerazione; poi, secondo l'opportunità, lo incensa tutto intorno." (85) "Il «significato forte dell'altare», (...) si determina ulteriormente dentro un rito di elevazione: la chiesa e l'altare si convertono nei simboli della Gerusalemme celeste, nel cui centro sta il trono di Dio e dell'Agnello (cf Ap 22,3); e noi, accogliendo lo profezia e l'invito di Colui che, innalzato da terra, ci attira a sé (Gv 12,32), con gli occhi fissi sul celebrante che lentamente sale l'altare, assecondando i movimenti dell'anima che «languisce e brama gli atri del Signore» (Salmo 83,3), saliamo il monte del Signore non per immolare il nostro lsacco, ma per accostarci al trono della grazia e ridiscendere, al termine dell'Eucaristia, nutriti dal corpo e sangue del Figlio di Dio che scende con noi, come dal monte dello Trasfigurazione, per non lasciarci soli nell'avventura della nostra adesione o lui." (S. Babolin, Saliamo il monte del Signore, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa" n 9, 2001, p 38).
Ma quando è stato istituito ufficialmente l'introito nella liturgia cristiana? Una tradizione, molto contestata oggi, fa iniziare ufficialmente I'antifona di introito sotto papa Celestino l, morto nel 432 (secondo una notizia proveniente dal Liber Pontificalis). Ma, come detto, la veridicità di questa attribuzione è ampiamente messa in dubbio. Pochissimi secoli dopo papa Celestino assisteremo alla fioritura degli introiti che fanno parte del repertorio classico del canto "gregoriano". Pensiamo, solo per esemplificare a "Ad Te levavi", "Puer natus est nobis" o "Viri Galilei". Nel periodo di papa Gregorio Magno, I'antifona veniva alternata al canto di vari versetti del salmo. Successivamente rimarrà un solo versetto (ed è la versione rimasta in voga fino ai nostri anni, anche se con il Graduale Simplex, pubblicato dai monaci di Solesmes nel 1975 e contenente melodie gregoriane semplici con la segnalazione dell'intero salmo da alternare, si ritorna ad una concezione vicina a quella primitiva). Gli introiti erano così caratterizzanti la celebrazione che le domeniche spesso erano chiamate con il nome dell'introito corrispondente. Ad esempio domenica "Laetare" (quarta di Quaresima) o "Gaudete" (terza di Avvento). Nei secoli il momento liturgico dell'introito asseconderà anche le contingenze storiche e culturali; ricordiamo in epoca medioevale la fioritura dei tropi, testi di libera invenzione che si aggiungevano al testo ufficiale. Si manterrà abbastanza I'uso, almeno a Roma, di usare I'antifona gregoriana. Nel diciannovesimo secolo, si userà cantare questo testo in omoritmia (cioè tutte le voci, pur nella diversità armonica della loro linea melodica, cantano lo stesso testo allo stesso momento) con passaggi armonici molto semplici, secondo il principio che quel testo non doveva essere omesso per nessun motivo. Magari dopo ci si consolava con un bel mottetto... E oggi? Dopo la riforma liturgica, furono composte varie antifone appropriate e musicalmente semplici in ambiente salesiano ("Chi salirà la montagna del Signore", "Popoli tutti lodate il Signore"...). Successivamente (o contemporaneamente) sarà il momento dei corali di derivazione anglosassone. Il problema con questa nobile forma musicale viene proprio dall'uso che se ne fa in ambiente anglosassone dove tutti sono abituati a cantare e dove esiste un larghissimo repertorio conosciuto dai fedeli delle varie denominazioni cristiane. Qui da noi, dove non è così diffuso il gusto del canto corale, ne girano alcuni (pochi e sempre gli stessi) che vengono cantati stancamente per ogni stagione. E' interessante qui riflettere su quanto afferma un documento della Conferenza episcopale degli Stati Uniti che dice: "Se la forma responsoriale del canto è particolarmente adatta per le processioni, l'inno metrico può anch'esso servire come canto d'ingresso. Se, tuttavia, si sceglie un inno metrico con più versi, se ne deve rispettare la forma. Allo progressione di testo e musica si deve consentire di svolgere fino in fondo il suo corso e di raggiungere il suo scopo musicalmente e poeticamente. In altre parole, l'inno non può terminare indiscriminatamente alla fine dello processione. " (Liturgical music today).
Come può essere eseguita I'antifona d'introito? L'IGMR suggerisce: dal coro e dal popolo alternati (la forma classica), dal cantore e dal popolo alternati, interamente dal popolo o interamente dal coro. Questi suggerimenti tengono conto di esigenze varie e variegate. Dal punto di vista pastorale, la forma dell'alternanza tra coro e popolo mi sembra di gran lunga la migliore. Nella stagione post-conciliare si sono affermate anche nuove forme: I'inno strofico, con delle strofe metricamente uguali che sono cantate da tutti (alla maniera del corale). A Taizè si sono sperimentate delle forme molto ripetitive, simili a "mantra" (tecnica di meditazione orientale in cui si medita su una vibrazione sonora ripetuta continuamente), che secondo alcuni favoriscono molto la creazione di un clima di preghiera (alla maniera delle preghiere buddiste per capirci). Ma queste sono forme statiche e potrebbero non aiutare a esprimere bene il senso dell'introito.
Paul lnwood suggerisce la forma-crescendo. Nella musica deve potersi rispecchiare quanto sta accadendo nel rito. Nella processione d'ingresso il culmine sarà quando i ministri e i celebranti giungono all'altare. Come si fa questo? Ecco varie possibilità:
Felice Rainoldi preferisce sintetizzare così i tre modelli possibili per un canto introitale:
Sarebbe sempre bene poter cantare il testo dell'antifona presente nel Messale, ma spesso è difficile far imparare ai fedeli un ritornello diverso per ogni stagione. Allora si ricorre a dei canti "stagionali", canti che introducono al tempo liturgico in generale (per esempio la quaresima) ma non si concentrano su una particolare domenica (per esempio la quarta invece della terza). Ma anche qui si può sperimentare qualcosa. Anche se la tradizione vuole che questi testi siano di preferenza tratti dal libro dei Salmi, si può, rispettando la natura e la funzione di questo canto, introdurre testi di composizione libera.
(Aurelio Porfiri, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa", n. 5, 2004)
Il termine introito deriverebbe dalla parola latina intra (dentro) e dal verbo ire (andare). Naturalmente si deve preferire sempre la possibilità di cantare I'introito, piuttosto che recitarlo. Infatti si concede di leggere I'antifona quando essa, come detto, non può essere cantata per motivi di mancanza di mezzi adeguati. La preminenza dell'antifona cantata viene sollecitata anche nella lnstitutio Generalis Missali Romani (IGMR) al n 25, dove si dice che "dopo che il popolo si e radunato, inizia il canto d'ingresso eseguito durante l'entrata del sacerdote con il diacono e i ministri".
Gli scopi dell'antifona d'ingresso sono:
- aprire la celebrazione;
- rafforzare I'unità dei fedeli riuniti;
- orientare i pensieri dei fedeli al significato del tempo liturgico o della festività che si celebra;
- accompagnare la processione dei ministri e dei sacerdoti.
E' molto interessante riflettere su queste quattro funzioni, pratiche, teologiche e psicologiche. In questo momento la Chiesa si affida al codice musicale per sollecitare I'emotività dei fedeli convenuti e orientarli al mistero che si sta per celebrare. L'antifona d'ingresso si trova in quella sezione della celebrazione che viene designata come "riti di introduzione".
L'origine dell'antifona d'introito e incerta. Si possono vedere alcune prefigurazioni dell'introito anche in altre culture e in altre civiltà religiose. Mi viene qui da pensare ai Carmina Triumphalia dei Romani, laddove il generale vincitore veniva accolto al suono di acclamazioni di vario tipo. Questo prefigura I'accoglienza dell'assemblea cristiana che ricevono il sacerdote e i ministri e acclama al Signore che viene. Ma ricordiamo che questa processione di sacerdoti e ministri è anche immagine del nostro peregrinare e ricorda il pellegrinaggio del popolo ebraico al grande Tempio di Gerusalemme, quando cantava i salmi cosiddetti "ascensionali" (dal salmo 120 al salmo 134) Si saliva al monte del Signore: "Voi innalzerete il vostro conto come nella notte in cui si celebra una festa; avrete lo gioia nel cuore come chi parte al suono del flauto, per recarsi al monte del Signore, alla roccia d'Israele." (lsaia 50, 29). O anche nel Nuovo Testamento: "Mentre erano in viaggio per salire o Gerusalemme, Gesù camminava davanti o loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: "Ecco, noi saliamo o Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi." (Marco 10,32-33a). Quindi abbiamo messo dentro anche I'ambiente ebraico e tre elementi ci sembrano venire fuori da quanto detto finora, elementi che si ritroveranno in tutta la storia delI'introito. Essi sono: I'accogliere, il procedere, l'ascendere. Questo elemento "ascensionale" dell'introito ci viene chiarito meglio dall'IGMR quando dice che il sacerdote al termine della processione d'ingresso "sale l'altare e lo bacia in segno di venerazione; poi, secondo l'opportunità, lo incensa tutto intorno." (85) "Il «significato forte dell'altare», (...) si determina ulteriormente dentro un rito di elevazione: la chiesa e l'altare si convertono nei simboli della Gerusalemme celeste, nel cui centro sta il trono di Dio e dell'Agnello (cf Ap 22,3); e noi, accogliendo lo profezia e l'invito di Colui che, innalzato da terra, ci attira a sé (Gv 12,32), con gli occhi fissi sul celebrante che lentamente sale l'altare, assecondando i movimenti dell'anima che «languisce e brama gli atri del Signore» (Salmo 83,3), saliamo il monte del Signore non per immolare il nostro lsacco, ma per accostarci al trono della grazia e ridiscendere, al termine dell'Eucaristia, nutriti dal corpo e sangue del Figlio di Dio che scende con noi, come dal monte dello Trasfigurazione, per non lasciarci soli nell'avventura della nostra adesione o lui." (S. Babolin, Saliamo il monte del Signore, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa" n 9, 2001, p 38).
Ma quando è stato istituito ufficialmente l'introito nella liturgia cristiana? Una tradizione, molto contestata oggi, fa iniziare ufficialmente I'antifona di introito sotto papa Celestino l, morto nel 432 (secondo una notizia proveniente dal Liber Pontificalis). Ma, come detto, la veridicità di questa attribuzione è ampiamente messa in dubbio. Pochissimi secoli dopo papa Celestino assisteremo alla fioritura degli introiti che fanno parte del repertorio classico del canto "gregoriano". Pensiamo, solo per esemplificare a "Ad Te levavi", "Puer natus est nobis" o "Viri Galilei". Nel periodo di papa Gregorio Magno, I'antifona veniva alternata al canto di vari versetti del salmo. Successivamente rimarrà un solo versetto (ed è la versione rimasta in voga fino ai nostri anni, anche se con il Graduale Simplex, pubblicato dai monaci di Solesmes nel 1975 e contenente melodie gregoriane semplici con la segnalazione dell'intero salmo da alternare, si ritorna ad una concezione vicina a quella primitiva). Gli introiti erano così caratterizzanti la celebrazione che le domeniche spesso erano chiamate con il nome dell'introito corrispondente. Ad esempio domenica "Laetare" (quarta di Quaresima) o "Gaudete" (terza di Avvento). Nei secoli il momento liturgico dell'introito asseconderà anche le contingenze storiche e culturali; ricordiamo in epoca medioevale la fioritura dei tropi, testi di libera invenzione che si aggiungevano al testo ufficiale. Si manterrà abbastanza I'uso, almeno a Roma, di usare I'antifona gregoriana. Nel diciannovesimo secolo, si userà cantare questo testo in omoritmia (cioè tutte le voci, pur nella diversità armonica della loro linea melodica, cantano lo stesso testo allo stesso momento) con passaggi armonici molto semplici, secondo il principio che quel testo non doveva essere omesso per nessun motivo. Magari dopo ci si consolava con un bel mottetto... E oggi? Dopo la riforma liturgica, furono composte varie antifone appropriate e musicalmente semplici in ambiente salesiano ("Chi salirà la montagna del Signore", "Popoli tutti lodate il Signore"...). Successivamente (o contemporaneamente) sarà il momento dei corali di derivazione anglosassone. Il problema con questa nobile forma musicale viene proprio dall'uso che se ne fa in ambiente anglosassone dove tutti sono abituati a cantare e dove esiste un larghissimo repertorio conosciuto dai fedeli delle varie denominazioni cristiane. Qui da noi, dove non è così diffuso il gusto del canto corale, ne girano alcuni (pochi e sempre gli stessi) che vengono cantati stancamente per ogni stagione. E' interessante qui riflettere su quanto afferma un documento della Conferenza episcopale degli Stati Uniti che dice: "Se la forma responsoriale del canto è particolarmente adatta per le processioni, l'inno metrico può anch'esso servire come canto d'ingresso. Se, tuttavia, si sceglie un inno metrico con più versi, se ne deve rispettare la forma. Allo progressione di testo e musica si deve consentire di svolgere fino in fondo il suo corso e di raggiungere il suo scopo musicalmente e poeticamente. In altre parole, l'inno non può terminare indiscriminatamente alla fine dello processione. " (Liturgical music today).
Come può essere eseguita I'antifona d'introito? L'IGMR suggerisce: dal coro e dal popolo alternati (la forma classica), dal cantore e dal popolo alternati, interamente dal popolo o interamente dal coro. Questi suggerimenti tengono conto di esigenze varie e variegate. Dal punto di vista pastorale, la forma dell'alternanza tra coro e popolo mi sembra di gran lunga la migliore. Nella stagione post-conciliare si sono affermate anche nuove forme: I'inno strofico, con delle strofe metricamente uguali che sono cantate da tutti (alla maniera del corale). A Taizè si sono sperimentate delle forme molto ripetitive, simili a "mantra" (tecnica di meditazione orientale in cui si medita su una vibrazione sonora ripetuta continuamente), che secondo alcuni favoriscono molto la creazione di un clima di preghiera (alla maniera delle preghiere buddiste per capirci). Ma queste sono forme statiche e potrebbero non aiutare a esprimere bene il senso dell'introito.
Paul lnwood suggerisce la forma-crescendo. Nella musica deve potersi rispecchiare quanto sta accadendo nel rito. Nella processione d'ingresso il culmine sarà quando i ministri e i celebranti giungono all'altare. Come si fa questo? Ecco varie possibilità:
- forma della litania (dialogo serrato);
- litanie responsoriali (l'assemblea risponde quando il cantore ha appena cantato);
- ostinato con l'aggiunta di altri strati (modello di Taizè modificato);
- canti che salgono gradualmente di tonalità;
- aumentare il numero dei partecipanti al canto progressivamente;
- canti che aumentano progressivamente di intensità.
Felice Rainoldi preferisce sintetizzare così i tre modelli possibili per un canto introitale:
- modello antifonico (alternanza ritornello-strofa);
- modello innico (canto a strofe);
- modello litanico
Sarebbe sempre bene poter cantare il testo dell'antifona presente nel Messale, ma spesso è difficile far imparare ai fedeli un ritornello diverso per ogni stagione. Allora si ricorre a dei canti "stagionali", canti che introducono al tempo liturgico in generale (per esempio la quaresima) ma non si concentrano su una particolare domenica (per esempio la quarta invece della terza). Ma anche qui si può sperimentare qualcosa. Anche se la tradizione vuole che questi testi siano di preferenza tratti dal libro dei Salmi, si può, rispettando la natura e la funzione di questo canto, introdurre testi di composizione libera.
(Aurelio Porfiri, in "La Vita in Cristo e nella Chiesa", n. 5, 2004)