Il canto di comunione (2)
Nell'Ordinamento
Generale del Messale Romano, per quello che riguarda il canto di comunione
al n 86 leggiamo: «Mentre il sacerdote assume
il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime, mediante
l'accordo delle voci, I'unione spirituale di coloro che si comunicano, si
manifesta la gioia del cuore e si pane maggiormente
in luce il carattere "comunitario" della processione di coloro che si
accostano a ricevere l'Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione
del Sacramento ai fedeli. Se però è previsto che dopo lo Comunione si esegua un
inno, il canto di Comunione s'interrompe al momento opportuno. Si faccia in
modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente lo Comunione».
«Per il canto alla Comunione si può utilizzare o l'antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o I'antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo. Se invece non si canta, l'antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai fedeli o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli» (OGMR 87).
«Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Tutto l'assemblea può anche cantare un salmo, un altro cantico di lode o un inno» (OGMR 88).
Possiamo constatare come nei testi citati ci si sofferma attentamente, e a ragione, su questo che è il momento culminante della celebrazione. Cristo, vero corpo e vero sangue, si dà al popolo di Dio. Ci sono varie cose da osservare riguardo questo segmento liturgico. Innanzitutto assistiamo ad un'ennesima processione nella celebrazione. La prima processione è all'inizio della celebrazione, quando i ministri procedono in mezzo al popolo per raggiungere l'altare; poi alla presentazione dei doni, quando si portano il pane e il vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo (oltre ad altri doni, quando opportuno). In seguito ci troviamo alla comunione, quando tutto il popolo di Dio si mette in cammino per ricevere quei doni che si sono «transustanziati» in Gesù stesso. Questo «popolo in cammino» (come dice un famoso canto) è anche simbolo dei tanti popoli in cammino nella storia, a cominciare dal popolo di Israele. Come gli Israeliti furono nutriti con la manna nel deserto, anche noi nel deserto che spesso può esserci nella nostra vita, chiediamo quel nutrimento. Ma Cristo promette di più: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha doto il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà lo vita al mondo. Alloro gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Gesù rispose: "lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Gv 6,32-35).
Il canto, come negli altri segmenti della Messa, gioca un ruolo importante. L'OGMR ci dà alcune coordinate importanti, come già per I'antifona d'introito. Il canto di comunione esprime l'unione spirituale, manifesta la gioia del cuore e mette in luce il carattere comunitario. Sembra udire la voce di Cristo che dice «Ut unum sint», che siano uno. Una riflessione a monte, ci fa spesso notare come il canto non è momento unificante nella celebrazione, ma momento di divisione e manifestazione di appartenenza. I giovani hanno i loro canti, gli adulti hanno i loro canti, il coro ha i propri canti, i movimenti hanno i loro canti, gli scout hanno i loro canti... C'e da chiedersi quanto tutto questo vada in favore di quanto chiesto dall'OGMR (e prima di tutto da colui che ci convoca alla celebrazione) e quanto vada in direzione contraria. Il segno di appartenenza, che di per sé non è niente di male, diventa purtroppo anche segno di delimitazione. E succede quando si dice: questo sono io, questa è la mia musica, questo è il mio territorio culturale e io vi appartengo: gli altri sono fuori. Certo queste affermazioni non vengono fatte a voce alta, ma sono implicite e vengono manifestate in molteplici parrocchie in cui anche la musica diviene fattore di forte attrito, Come si combina tutto questo con I'esigenza di trovare il comune accordo delle voci, di manifestare I'unità che lo stesso Cristo ha invocato per noi? Non si combina.
Nell'Oriente cristiano, dal IV secolo c'era un canto che accompagnava il momento della comunione. II passo della Scrittura preferito per questo momento era il salmo 53, dove si dice: «Gustate e vedete come è buono il Signore». Già dal V secolo tutte le liturgie in Occidente hanno un canto di comunione. Il salmo che si cantava alla comunione, nella composizione gregoriana, conserverà sempre una forma musicale più modesta rispetto ai canti eseguiti all'introito e soprattutto rispetto all'antifona d'offertorio. Esso aveva anche una natura più «mobile» e una maggiore facilità di essere cambiato. Spesso si cantavano versi presi da un salmo che si «srotolava» (per così dire) domenica dopo domenica. Gregorio Magno cominciò a prendere dal Vangelo del giorno i versetti per proporli al momento del communio. Troviamo in questo una felice corrispondenza con quanto avviene oggi (cf Ildefonso Schuster, Liber Sacramenctorum, 88-89).
Dal Rinascimento fino al Vaticano II, vista la crescente separazione fra i ministri ordinati e i semplici fedeli, gli uni di là e gli altri di qua dalla balaustra, il momento della comunione sarà appannaggio della schola che proporrà canti ispirati alla devozione eucaristica (Pange lingua, Adoro te devote, O sacrum convivium, Ave verum, O salutaris Hostia...) invece di canti che uniscono la mensa della parola alla mensa eucaristica. Seppure non sia un errore fare come nel primo caso citato, di certo il raccordo tra parola e mensa favorisce in profondità una comprensione teologica di questo momento molto più efficace, rapportando il sacrificio di Cristo a tutta la storia della salvezza e divenendo la sua stessa stella polare, piuttosto che limitarlo a quanto avvenne «in supremae nocte caenae» soltanto.
Teodor Schnitzler così si esprime: «Ciò che Gregorio Magno aveva cominciato è ora completato. Prima di lui, si prendeva, per lo più in maniera alquanto schematica, domenica dopo domenica, il salmo di turno secondo lo numerazione. Il santo pontefice si mise all'opera per desumere di volta in volta dal Vangelo il Communio. Sicché ora tutte le feste hanno questa profonda corrispondenza di significato tra Vangelo e Communio: quanto viene annunciato nel Vangelo viene poi donato nell'Eucaristia. Il mistero della Buona Novella diviene personalmente, veramente presente nel mistero del banchetto eucaristico. Il Vangelo dà il modo col quale Cristo ci parlo nell'Eucaristia» (Il Significato della Messa, Città Nuova, 1987,202).
La Dei Verbum, al capitolo sesto afferma solennemente: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).
Quindi il canto di comunione dovrebbe accompagnare dall'inizio lo snodarsi della processione. Se si dispone di qualche sussidio, come foglietti o innari per l'assemblea, questo faciliterà ancora di più il canto: ci si incamminerà verso la comunione avendo già potuto memorizzare visivamente un ritornello. Conviene che il canto conservi un carattere responsoriale, con i versetti cantati da un solista o (molto meglio) dalla schola, magari in polifonia. C'e nell'OGMR il riferimento ad un canto di ringraziamento. Questo è ben distinto dall'antifona di comunione e sarebbe preferibile una forma più vicina all'innodia, in modo da favorire la massima partecipazione dell'assemblea. La nostra unione ora si esprime concorde nel canto solenne di ringraziamento per il grande dono che ci e appena stato fatto. Se si esegue questo canto, nulla vieta che la processione della comunione sia accompagnata da un canto appropriato eseguito dalla schola che, se canta in lingue diverse dall'italiano, avrà premura di condividere la traduzione in lingua corrente del testo del canto con tutta l'assemblea, per meglio farglielo gustare.
Speriamo che si giunga ad una sempre maggiore comprensione dell'Eucaristia, in cui Cristo si dona completamente a noi; questo per far sì che, «transustanziati» dal suo amore, possiamo donare completamente la nostra vita a lui.
(Aurelio Porfiri, in La Vita in Cristo e nella Chiesa, n.5 - maggio 2005)
«Per il canto alla Comunione si può utilizzare o l'antifona del Graduale romanum, con o senza salmo, o I'antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme col popolo. Se invece non si canta, l'antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai fedeli o da alcuni di essi, o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli» (OGMR 87).
«Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un po' di tempo in silenzio. Tutto l'assemblea può anche cantare un salmo, un altro cantico di lode o un inno» (OGMR 88).
Possiamo constatare come nei testi citati ci si sofferma attentamente, e a ragione, su questo che è il momento culminante della celebrazione. Cristo, vero corpo e vero sangue, si dà al popolo di Dio. Ci sono varie cose da osservare riguardo questo segmento liturgico. Innanzitutto assistiamo ad un'ennesima processione nella celebrazione. La prima processione è all'inizio della celebrazione, quando i ministri procedono in mezzo al popolo per raggiungere l'altare; poi alla presentazione dei doni, quando si portano il pane e il vino che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo (oltre ad altri doni, quando opportuno). In seguito ci troviamo alla comunione, quando tutto il popolo di Dio si mette in cammino per ricevere quei doni che si sono «transustanziati» in Gesù stesso. Questo «popolo in cammino» (come dice un famoso canto) è anche simbolo dei tanti popoli in cammino nella storia, a cominciare dal popolo di Israele. Come gli Israeliti furono nutriti con la manna nel deserto, anche noi nel deserto che spesso può esserci nella nostra vita, chiediamo quel nutrimento. Ma Cristo promette di più: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha doto il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà lo vita al mondo. Alloro gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". Gesù rispose: "lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Gv 6,32-35).
Il canto, come negli altri segmenti della Messa, gioca un ruolo importante. L'OGMR ci dà alcune coordinate importanti, come già per I'antifona d'introito. Il canto di comunione esprime l'unione spirituale, manifesta la gioia del cuore e mette in luce il carattere comunitario. Sembra udire la voce di Cristo che dice «Ut unum sint», che siano uno. Una riflessione a monte, ci fa spesso notare come il canto non è momento unificante nella celebrazione, ma momento di divisione e manifestazione di appartenenza. I giovani hanno i loro canti, gli adulti hanno i loro canti, il coro ha i propri canti, i movimenti hanno i loro canti, gli scout hanno i loro canti... C'e da chiedersi quanto tutto questo vada in favore di quanto chiesto dall'OGMR (e prima di tutto da colui che ci convoca alla celebrazione) e quanto vada in direzione contraria. Il segno di appartenenza, che di per sé non è niente di male, diventa purtroppo anche segno di delimitazione. E succede quando si dice: questo sono io, questa è la mia musica, questo è il mio territorio culturale e io vi appartengo: gli altri sono fuori. Certo queste affermazioni non vengono fatte a voce alta, ma sono implicite e vengono manifestate in molteplici parrocchie in cui anche la musica diviene fattore di forte attrito, Come si combina tutto questo con I'esigenza di trovare il comune accordo delle voci, di manifestare I'unità che lo stesso Cristo ha invocato per noi? Non si combina.
Nell'Oriente cristiano, dal IV secolo c'era un canto che accompagnava il momento della comunione. II passo della Scrittura preferito per questo momento era il salmo 53, dove si dice: «Gustate e vedete come è buono il Signore». Già dal V secolo tutte le liturgie in Occidente hanno un canto di comunione. Il salmo che si cantava alla comunione, nella composizione gregoriana, conserverà sempre una forma musicale più modesta rispetto ai canti eseguiti all'introito e soprattutto rispetto all'antifona d'offertorio. Esso aveva anche una natura più «mobile» e una maggiore facilità di essere cambiato. Spesso si cantavano versi presi da un salmo che si «srotolava» (per così dire) domenica dopo domenica. Gregorio Magno cominciò a prendere dal Vangelo del giorno i versetti per proporli al momento del communio. Troviamo in questo una felice corrispondenza con quanto avviene oggi (cf Ildefonso Schuster, Liber Sacramenctorum, 88-89).
Dal Rinascimento fino al Vaticano II, vista la crescente separazione fra i ministri ordinati e i semplici fedeli, gli uni di là e gli altri di qua dalla balaustra, il momento della comunione sarà appannaggio della schola che proporrà canti ispirati alla devozione eucaristica (Pange lingua, Adoro te devote, O sacrum convivium, Ave verum, O salutaris Hostia...) invece di canti che uniscono la mensa della parola alla mensa eucaristica. Seppure non sia un errore fare come nel primo caso citato, di certo il raccordo tra parola e mensa favorisce in profondità una comprensione teologica di questo momento molto più efficace, rapportando il sacrificio di Cristo a tutta la storia della salvezza e divenendo la sua stessa stella polare, piuttosto che limitarlo a quanto avvenne «in supremae nocte caenae» soltanto.
Teodor Schnitzler così si esprime: «Ciò che Gregorio Magno aveva cominciato è ora completato. Prima di lui, si prendeva, per lo più in maniera alquanto schematica, domenica dopo domenica, il salmo di turno secondo lo numerazione. Il santo pontefice si mise all'opera per desumere di volta in volta dal Vangelo il Communio. Sicché ora tutte le feste hanno questa profonda corrispondenza di significato tra Vangelo e Communio: quanto viene annunciato nel Vangelo viene poi donato nell'Eucaristia. Il mistero della Buona Novella diviene personalmente, veramente presente nel mistero del banchetto eucaristico. Il Vangelo dà il modo col quale Cristo ci parlo nell'Eucaristia» (Il Significato della Messa, Città Nuova, 1987,202).
La Dei Verbum, al capitolo sesto afferma solennemente: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).
Quindi il canto di comunione dovrebbe accompagnare dall'inizio lo snodarsi della processione. Se si dispone di qualche sussidio, come foglietti o innari per l'assemblea, questo faciliterà ancora di più il canto: ci si incamminerà verso la comunione avendo già potuto memorizzare visivamente un ritornello. Conviene che il canto conservi un carattere responsoriale, con i versetti cantati da un solista o (molto meglio) dalla schola, magari in polifonia. C'e nell'OGMR il riferimento ad un canto di ringraziamento. Questo è ben distinto dall'antifona di comunione e sarebbe preferibile una forma più vicina all'innodia, in modo da favorire la massima partecipazione dell'assemblea. La nostra unione ora si esprime concorde nel canto solenne di ringraziamento per il grande dono che ci e appena stato fatto. Se si esegue questo canto, nulla vieta che la processione della comunione sia accompagnata da un canto appropriato eseguito dalla schola che, se canta in lingue diverse dall'italiano, avrà premura di condividere la traduzione in lingua corrente del testo del canto con tutta l'assemblea, per meglio farglielo gustare.
Speriamo che si giunga ad una sempre maggiore comprensione dell'Eucaristia, in cui Cristo si dona completamente a noi; questo per far sì che, «transustanziati» dal suo amore, possiamo donare completamente la nostra vita a lui.
(Aurelio Porfiri, in La Vita in Cristo e nella Chiesa, n.5 - maggio 2005)