Agnello di Dio (2)
Con l’Agnello di Dio ci ritroviamo nei riti di comunione.
L’OGMR al numero 83 dice: «Il sacerdote
spezza il pane eucaristico, con l'aiuto, se è necessario, del diacono o di un concelebrante.
Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'ultima Cena, che sin dal
tempo apostolico ha dato il nome a tutto l'azione eucaristica, significa che i
molti fedeli nella Comunione dall'unico pane di vita, che è il Cristo morto e
risorto per lo salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10,
17). La frazione del pane ha inizio dopo
lo scambio di pace e deve essere compiuto con il necessario rispetto, senza
però che si protragga oltre il tempo dovuto e le si attribuisca esagerata importanza.
Questo rito è riservato al sacerdote e al diacono. Il sacerdote spezzo il pane
e mette una parte dell'ostia nel calice, per significare l'unità del Corpo e del
Sangue di Cristo nell'opera dello salvezza, cioè del Corpo di Cristo Gesù
vivente e glorioso. Abitualmente l'invocazione Agnello di Dio viene cantata dalla schola o dal cantore,
con lo risposta del popolo, oppure lo si dice almeno ad alta voce. L'invocazione
accompagna la frazione del pane, perciò lo si può ripetere tanto quanto è necessario
fino alla conclusione del rito. L'ultima invocazione termina con le parole dona
a noi la pace».
Nell'istruzione della Congregazione del Culto Divino Redemptionis Sacramentum del 25 marzo 2004 viene specificato al riguardo al numero 73: «Nella celebrazione della santa Messa lo frazione del pane eucaristico, che va fatta solo ad opera del Sacerdote celebrante, con I'aiuto, se è il caso, di un Diacono o del concelebrante, ma non di un laico, inizia dopo lo scambio della pace, mentre si recita l’”Agnello di Dio” […] Si corregga molto urgentemente l'abuso invalso in alcuni luoghi di prolungare senza necessità tale rito, anche con l'aiuto di laici, contrariamente alle norme, e di attribuirgli una esagerata importanza».
Nel libro del profeta Isaia (53,6-7) troviamo scritto: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì lo suo bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca». Nel canto del servo di Jhwh si sovrappone la figura del servo a quella dell'agnello: «La sovrapposizione delle immagini del servo e quella dell’agnello era tonto più facile in quanto in aramaico la parola talya, agnello, può significare anche servitore, figlio», (Lucien Deiss, La Messa, Edizioni Messaggero di Padova, p 113).
Quindi troviamo pienamente rappresentata in ambiente ebraico la simbologia dell'agnello che viene condotto al macello; l'agnello è il Signore che prende su di sé i nostri peccati e le nostre colpe.
Le parole dell’Agnello di Dio sono direttamente ispirate a quelle pronunciate da Giovanni Battista nei confronti di Gesù, riportate nel Vangelo di Giovanni al capitolo 1,29: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccati del mondo!». Non troviamo questa specifica frase negli altri Vangeli. Gli esperti biblisti insegnano che il Vangelo di Giovanni è, dei quattro, quello più «teologico», scritto più tardi degli altri e frutto probabilmente di una riflessione più matura della prima comunità cristiana, più precisamente di quella che viene chiamata «la scuola giovannea» (cf Giuseppe Crocetti, Il vangelo del «pane di vita», in «La nuova Alleanza», Gennaio 2005, n 1,9).
È interessante notare la storia della parola che in italiano viene resa con il verbo «togliere». Nel testo greco troviamo la parola airo che ha come primo significato «sollevare», e come significato secondario «eliminare». Quindi stando al testo greco dovrebbe essere più credibile la traduzione: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé il peccato del mondo».
Anche nella versione latina troviamo tollit. Anche se l'assonanza con il verbo togliere testimonierebbe in suo favore, c'e da dire che il primo significato anche qui è «sollevare, prendere su di sé» e anche un affidabile dizionario di lingua latina traduce Giovanni 1,29 esattamente con le parole «prende su di sé».
Anche sant'Agostino nelle Confessioni, quando racconta della sua conversione, riferisce della voce che gli suggerì di leggere un particolare libro con le parole «prendi e leggi» che nell'originale latino risultano, «tolle lege».
Il Liber Pontificalis riferisce che l'introduzione dell'Agnus Dei nella liturgia romana si deve al papa Sergio I (682-701) che «stabilì che durante il tempo della frazione del Corpo del Signore, «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”, fosse cantato dal clero e dal popolo», (I, 376). Inizialmente, le invocazioni di questa litania non erano fissate e Schuster (Liber Sacramenctorum) suggerisce che la melodia probabilmente usata era quella che corrisponde nel Kyriale romano all'Agnus Dei XVIII (anche se nel Graduale Triplex viene datata al dodicesimo secolo).
Riducendosi il rito della fractio panis nei secoli successivi, praticamente l'Agnus Dei, già onusto di melodie più elaborate si comincerà a cantare durante lo scambio della pace dei ministri e nel secolo XI si aggiungerà l'invocazione «Dona nobis pacem».
Nelle Messe rinascimentali l'Agnus Dei era il pezzo conclusivo della Messa, forma compositiva tipica di quel periodo che comprendeva Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. Nella terza invocazione, si usava aumentare dr una voce la polifonia; quindi una Messa a 5 voci (cioè con il coro che canta cinque melodie in accordo armonico e contrappuntistico), diventava a 6 voci. Questo perché, appunto era il gran finale della forma musicale della Messa rinascimentale, che si conserverà così almeno fino al Concilio Vaticano II e in parte ancora oggi, anche se nei compositori contemporanei è invalsa un'idea più ampia della Messa in musica, che comprende anche le parti del Proprio della stessa.
Da quello che abbiamo letto nell'OGMR, dobbiamo prima di tutto fare un'osservazione. Il momento dello scambio della pace e quello della fractio panis sono due momenti distinti. Quindi, malgrado storicamente sia accaduto che questi due momenti in un certo senso si sovrapponessero (con il canto dell’Agnus durante Io scambio di pace), oggi sarebbe bene tenere separati questi due momenti. Quindi il canto dell’Agnello di Dio dovrebbe cominciare dopo lo scambio della pace e durante la frazione del pane. Come detto, questo canto in forma litanica può essere ripetuto tante volte quanto dura la fractio panis stessa, quindi è un canto funzionale a un rito che si sta compiendo. Sarebbe bene variare le invocazioni iniziali ad ogni cambiamento dell'invocazione (pane di vita, principe della pace, Gesù salvatore...) in modo da variare le formulazioni pur rimanendo immutato il concetto.
Questo canto si esegue in vari modi:
La forma suggerita dall'OGMR di dirlo almeno ad alta voce (avallata infelicemente dal «mentre si recita l’Agnello di Dio» della Redemptionis Sacramentum) non è certo né da consigliare, né da preferire.
(Aurelio Porfiri, in La vita in Cristo e nella Chiesa, n.4 – aprile 2005)
Nell'istruzione della Congregazione del Culto Divino Redemptionis Sacramentum del 25 marzo 2004 viene specificato al riguardo al numero 73: «Nella celebrazione della santa Messa lo frazione del pane eucaristico, che va fatta solo ad opera del Sacerdote celebrante, con I'aiuto, se è il caso, di un Diacono o del concelebrante, ma non di un laico, inizia dopo lo scambio della pace, mentre si recita l’”Agnello di Dio” […] Si corregga molto urgentemente l'abuso invalso in alcuni luoghi di prolungare senza necessità tale rito, anche con l'aiuto di laici, contrariamente alle norme, e di attribuirgli una esagerata importanza».
Nel libro del profeta Isaia (53,6-7) troviamo scritto: «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì lo suo bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori e non aprì la sua bocca». Nel canto del servo di Jhwh si sovrappone la figura del servo a quella dell'agnello: «La sovrapposizione delle immagini del servo e quella dell’agnello era tonto più facile in quanto in aramaico la parola talya, agnello, può significare anche servitore, figlio», (Lucien Deiss, La Messa, Edizioni Messaggero di Padova, p 113).
Quindi troviamo pienamente rappresentata in ambiente ebraico la simbologia dell'agnello che viene condotto al macello; l'agnello è il Signore che prende su di sé i nostri peccati e le nostre colpe.
Le parole dell’Agnello di Dio sono direttamente ispirate a quelle pronunciate da Giovanni Battista nei confronti di Gesù, riportate nel Vangelo di Giovanni al capitolo 1,29: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccati del mondo!». Non troviamo questa specifica frase negli altri Vangeli. Gli esperti biblisti insegnano che il Vangelo di Giovanni è, dei quattro, quello più «teologico», scritto più tardi degli altri e frutto probabilmente di una riflessione più matura della prima comunità cristiana, più precisamente di quella che viene chiamata «la scuola giovannea» (cf Giuseppe Crocetti, Il vangelo del «pane di vita», in «La nuova Alleanza», Gennaio 2005, n 1,9).
È interessante notare la storia della parola che in italiano viene resa con il verbo «togliere». Nel testo greco troviamo la parola airo che ha come primo significato «sollevare», e come significato secondario «eliminare». Quindi stando al testo greco dovrebbe essere più credibile la traduzione: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé il peccato del mondo».
Anche nella versione latina troviamo tollit. Anche se l'assonanza con il verbo togliere testimonierebbe in suo favore, c'e da dire che il primo significato anche qui è «sollevare, prendere su di sé» e anche un affidabile dizionario di lingua latina traduce Giovanni 1,29 esattamente con le parole «prende su di sé».
Anche sant'Agostino nelle Confessioni, quando racconta della sua conversione, riferisce della voce che gli suggerì di leggere un particolare libro con le parole «prendi e leggi» che nell'originale latino risultano, «tolle lege».
Il Liber Pontificalis riferisce che l'introduzione dell'Agnus Dei nella liturgia romana si deve al papa Sergio I (682-701) che «stabilì che durante il tempo della frazione del Corpo del Signore, «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”, fosse cantato dal clero e dal popolo», (I, 376). Inizialmente, le invocazioni di questa litania non erano fissate e Schuster (Liber Sacramenctorum) suggerisce che la melodia probabilmente usata era quella che corrisponde nel Kyriale romano all'Agnus Dei XVIII (anche se nel Graduale Triplex viene datata al dodicesimo secolo).
Riducendosi il rito della fractio panis nei secoli successivi, praticamente l'Agnus Dei, già onusto di melodie più elaborate si comincerà a cantare durante lo scambio della pace dei ministri e nel secolo XI si aggiungerà l'invocazione «Dona nobis pacem».
Nelle Messe rinascimentali l'Agnus Dei era il pezzo conclusivo della Messa, forma compositiva tipica di quel periodo che comprendeva Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. Nella terza invocazione, si usava aumentare dr una voce la polifonia; quindi una Messa a 5 voci (cioè con il coro che canta cinque melodie in accordo armonico e contrappuntistico), diventava a 6 voci. Questo perché, appunto era il gran finale della forma musicale della Messa rinascimentale, che si conserverà così almeno fino al Concilio Vaticano II e in parte ancora oggi, anche se nei compositori contemporanei è invalsa un'idea più ampia della Messa in musica, che comprende anche le parti del Proprio della stessa.
Da quello che abbiamo letto nell'OGMR, dobbiamo prima di tutto fare un'osservazione. Il momento dello scambio della pace e quello della fractio panis sono due momenti distinti. Quindi, malgrado storicamente sia accaduto che questi due momenti in un certo senso si sovrapponessero (con il canto dell’Agnus durante Io scambio di pace), oggi sarebbe bene tenere separati questi due momenti. Quindi il canto dell’Agnello di Dio dovrebbe cominciare dopo lo scambio della pace e durante la frazione del pane. Come detto, questo canto in forma litanica può essere ripetuto tante volte quanto dura la fractio panis stessa, quindi è un canto funzionale a un rito che si sta compiendo. Sarebbe bene variare le invocazioni iniziali ad ogni cambiamento dell'invocazione (pane di vita, principe della pace, Gesù salvatore...) in modo da variare le formulazioni pur rimanendo immutato il concetto.
Questo canto si esegue in vari modi:
- un solista (o piccolo gruppo) propone la frase «Agnello di Dio» a cui poi il popolo si
aggiunge con quanto segue.
- Il solista va avanti da solo fino a prima dell’invocazione
finale «abbi pietà di noi... dona a noi la
pace». Trovo che questa seconda modalità sia la migliore, in quanto lascia
spazio anche per poter variare più estesamente il canto melodicamente e
testualmente, lasciando immutata l'invocazione finale.
- Il popolo canta tutta a litania. Personalmente non trovo appropriata questa modalità che non è rispettosa della forma del canto e lo costringe ad una certa rigidità, in quanto e impossibile introdurre nuove invocazioni ed è difficile introdurre nuove melodie da insegnare per intero a tutta l’assemblea. Molto più semplice è ottenere che la stessa si unisca nell'invocazione finale.
La forma suggerita dall'OGMR di dirlo almeno ad alta voce (avallata infelicemente dal «mentre si recita l’Agnello di Dio» della Redemptionis Sacramentum) non è certo né da consigliare, né da preferire.
(Aurelio Porfiri, in La vita in Cristo e nella Chiesa, n.4 – aprile 2005)