Acclamazione al Vangelo (2)
L'acclamazione al Vangelo si trova così descritta nell'Ordinamento
Generale del Messale Romano al n 62: "Dopo
la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l’Alleluia o un
altro canto stabilito dalle rubriche come richiede il tempo liturgico. Tale
acclamazione costituisce un rito o atto o sé stante, con il quale l'assemblea
dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il
canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi sotto la
guida della schola o del cantore, e se il caso lo richiede, si ripete; il
versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore.
a) L'alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in Quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dal Graduale.
b) In tempo di Quaresima, al posto dell’Alleluia si canta il versetto posto nel Lezionario prima del Vangelo. Si può anche cantare un altro salmo o tratto, come si trova nel Graduale".
E al n 63: "Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel tempo in cui si canta l’Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l’Alleluia con il suo versetto;
b) nel tempo in cui non si canta l’Alleluia, si può eseguire o il salmo e il versetto prima del Vangelo o il salmo soltanto;
c) l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.”
Il titolo di questo articolo "acclamazione al Vangelo” è stato scelto appositamente così da comprendere anche quei tempi (Quaresima) in cui si cantano ritornelli diversi dall'Alleluia. Questa parola ebraica (il cui significato viene spesso tradotto con la frase "lodate Dio", pur esistendo altre possibili soluzioni) è veramente, se ci pensiamo bene, nella memoria collettiva delle società formate nell'alveo della cultura giudaico-cristiana. Sarebbe bello indagare antropologicamente sull'uso extra liturgico che la gente ne fa e quali risonanze spontanee provoca. È di certo una parola dalla storia molto antica.
Nell'intera Bibbia, pur se ci si potrebbe aspettare il contrario, la parola "Alleluia" non ricorre spessissimo, ma solo 32 volte. Nell'Antico Testamento (dove è trascritta in greco nella forma 'Allelouia') la troviamo diffusamente nell'ultima parte del libro dei Salmi. Il salmo 106 (così come il 107) inizia con l'acclamazione: “Alleluia, perché eterna è la sua misericordia”. Nel primo libro delle Cronache (16,36) si dice: "Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele, di secolo in secolo. E tutto il popolo disse: «Amen, Alleluia»”.
Nel libro di Tobia (13,18) troviamo scritto: "Le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza, e in tutte le sue case canteranno: «Alleluia! Benedetto il Dio d'Israele e benedetti coloro che benedicono il suo santo nome per sempre e nei secoli!»".
Spostandoci al Nuovo Testamento, nelle visioni trionfali del libro dell’Apocalisse (Ap 19,1-7) troviamo: "Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva: «Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio...»".
Sant'Ippolito, nella sua Traditio Apostolica, redatta a Roma nel terzo secolo, ricorda che in quel periodo l'Alleluia venisse detto solo per quei salmi in cui era già presente. Questa acclamazione inizialmente era fortemente legata alla Pasqua. Vigilanzio (404) sostiene che. "L'Alleluia non va cantato mai, tranne che a Pasqua". Più chiaro ed esauriente è un testo di sant'Agostino riguardo al canto dell'Alleluia, contenuto in una sua lettera (55,32) scritta intorno al 400: "Riguardo invece a cantore l’Alleluia durante quei soli cinquanta giorni [il tempo pasquale] nello Chiesa non è osservato dappertutto, poiché vi sono luoghi ove lo si canta pure in altri tempi e ciò varia secondo le diverse usanze dei luoghi, ma dappertutto lo si canta in quegli stessi cinquanta giorni”. Sembra che sia stato san Gregorio Magno ad estendere l'uso dell’Alleluia per tutte le altre Messe (testimonianza in una sua lettera a Giovanni di Siracusa), anche se questo fu un vantaggio e uno svantaggio. Nota lo Schuster (Liber Sacramenctorum): "Il grande pontefice però non previde le conseguenze del suo sapiente decreto. Un po' per volta le feste dei santi e poi quelle feriali, in cui si ripete lo Messa domenicale, persino quelle votive penitenziali ebbero l'Alleluia; così quello che in origine era il sacro carme pasquale per eccellenza divenne il canto quotidiano del coro e perse tutta quella smagliante bellezza che aveva per gli antichi i quali con esso salutavano Cristo risorto all'aurora del giorno di Pasqua".
La grande arte dei compositori delle melodie gregoriane, impreziosirà di abili melismi sulla sillaba finale (lo 'Jubilus') il canto dell'Alleluia, specie nel secolo settimo. Proprio sant'Agostino dedicherà pagine bellissime a questi melismi, a questo canto ineffabile in cui la parola, troppo limitata, deve lasciare il posto ad un gaudio senza parole. Nel canto ambrosiano esistevano melismi alleluiatici anche di 500, 600 note. Ancora sant'Agostino, ci ricorderà nel suo La dottrina cristiana che le parole ebraiche, “Amen" e ”Alleluia", per uso antico, non erano state volutamente tradotte nella liturgia (vedi: I. Schuster, "Liber Sacramenctorum", parte III, pp 78-81, F. Rainoldi, "Psallite sapienter", pp 157-162).
L’Alleluia, in se stesso, non è stato molto considerato dai compositori del periodo successivo. Non rientra nelle forme liturgiche che i compositori rinascimentali sfrutteranno (come per esempio I'offertorio o il Gloria). Anche in tempi più recenti è rimasta la forma più appartata. Senz'altro tutti conoscono il famosissimo "Halleluja" di Georg Frederich Haendel, tratto dall'oratorio Il Messia. Ma questo, appunto, non è un pezzo liturgico (e tanto meno un'acclamazione al Vangelo) bensì un'abilissima versione musicale di cori angelici che si rimandano questo Alleluia da cielo a cielo, inneggiando al Cristo risorto che "regna onnipotente".
Prima di concludere questo rapidissimo e incompleto panorama storico, vorrei portare all'attenzione di tutti una bella tradizione che esiste nel mondo anglosassone riguardo il canto dell'Alleluia (anche qui da intendersi nel suo senso generale e non solo in riferimento alla sua posizione di acclamazione al Vangelo). La domenica precedente I'inizio della Quaresima, si svolge quello che viene definito "l'addio all'Alleluia". Consiste nell'impiegare all'inizio o alla fine della celebrazione canti che contengono la parola Alleluia, cosi da rendergli un simpatico saluto per poterlo poi ritrovare in pienezza nella sua "esaltazione" pasquale.
Da noi, si usa cantare una stessa melodia per I'Alleluia durante tutto l'anno liturgico. Ciò impoverisce di molto il senso anche simbolico di questo canto. Se io canto la stessa melodia per Natale e per Pasqua, non sentirò più quella melodia nella luce dell'una o dell'altra festa, ma con un "sapore" generalizzato. Molto più saggio è "dipingere" un periodo dell'anno liturgico con un suo proprio Alleluia, in modo che, appena ascoltato, questo mi richiami quello che vado ad ascoltare alla luce dell'anno liturgico. Gli Alleluia da noi usati non sono neanche molti; a mia conoscenza i principali sono i seguenti'. I'Alleluia "gregoriano" (melodia semplice ma troppo abusata e ormai quasi svuotata di senso),l'Alleluia di Taizé, l’Alleluia pasquale (altra melodia gregorianeggiante e presa dal canto medioevale "O filii et filiae”), l'”Alleluia"celtico" (di autore inglese moderno),l'Alleluia"delle lampadine" (canto molto giovanile e così chiamato per alcuni movimenti "coreografici" eseguiti durante lo stesso, che ricordano una persona nell'atto di svitare lampadine...). Dovunque sono stato, con rare eccezioni, questi sono gli Alleluia che più ho ascoltato. Credo che si dovrebbe un pochino svecchiare il tutto, più che altro cambiando mentalità sul ruolo che il canto liturgico in generale ha nel rito. La melodia di un Alleluia, a mio avviso, deve essere breve e concisa, così da favorire la ripetizione dell'assemblea. Pur se nella sua brevità, deve contenere un breve apice espressivo, così da coinvolgere emotivamente quanti la devono cantare. Laddove esistesse una buona schola cantorum, si possono preparare più versetti polifonici per permettere ai ministri di compiere percorsi più lunghi o movimenti più complessi (questo per esempio accade regolarmente nelle celebrazioni nella basilica di san Pietro); il popolo ascolta in polifonia quanto sta per ascoltare nella declamazione del diacono e del sacerdote.
Anche qui, insomma, c'è spazio per l'assemblea, per il coro, per il solista... facciamo nelle nostre menti quello spazio che necessita per progettare I'auspicato cambiamento di mentalità; cambiamento, sia detto con la dovuta chiarezza, da compiersi da parte di tutti e a tutti i livelli. Il problema non è I'Alleluia o il canto liturgico: il problema è il ruolo che deve avere la liturgia nella nostra vita e nella vita della Chiesa.
(Aurelio Porfiri, in La Vita in Cristo e nella Chiesa, n.9 - 2004)
a) L'alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in Quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario oppure dal Graduale.
b) In tempo di Quaresima, al posto dell’Alleluia si canta il versetto posto nel Lezionario prima del Vangelo. Si può anche cantare un altro salmo o tratto, come si trova nel Graduale".
E al n 63: "Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel tempo in cui si canta l’Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e l’Alleluia con il suo versetto;
b) nel tempo in cui non si canta l’Alleluia, si può eseguire o il salmo e il versetto prima del Vangelo o il salmo soltanto;
c) l’Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.”
Il titolo di questo articolo "acclamazione al Vangelo” è stato scelto appositamente così da comprendere anche quei tempi (Quaresima) in cui si cantano ritornelli diversi dall'Alleluia. Questa parola ebraica (il cui significato viene spesso tradotto con la frase "lodate Dio", pur esistendo altre possibili soluzioni) è veramente, se ci pensiamo bene, nella memoria collettiva delle società formate nell'alveo della cultura giudaico-cristiana. Sarebbe bello indagare antropologicamente sull'uso extra liturgico che la gente ne fa e quali risonanze spontanee provoca. È di certo una parola dalla storia molto antica.
Nell'intera Bibbia, pur se ci si potrebbe aspettare il contrario, la parola "Alleluia" non ricorre spessissimo, ma solo 32 volte. Nell'Antico Testamento (dove è trascritta in greco nella forma 'Allelouia') la troviamo diffusamente nell'ultima parte del libro dei Salmi. Il salmo 106 (così come il 107) inizia con l'acclamazione: “Alleluia, perché eterna è la sua misericordia”. Nel primo libro delle Cronache (16,36) si dice: "Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele, di secolo in secolo. E tutto il popolo disse: «Amen, Alleluia»”.
Nel libro di Tobia (13,18) troviamo scritto: "Le porte di Gerusalemme risuoneranno di canti di esultanza, e in tutte le sue case canteranno: «Alleluia! Benedetto il Dio d'Israele e benedetti coloro che benedicono il suo santo nome per sempre e nei secoli!»".
Spostandoci al Nuovo Testamento, nelle visioni trionfali del libro dell’Apocalisse (Ap 19,1-7) troviamo: "Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva: «Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio...»".
Sant'Ippolito, nella sua Traditio Apostolica, redatta a Roma nel terzo secolo, ricorda che in quel periodo l'Alleluia venisse detto solo per quei salmi in cui era già presente. Questa acclamazione inizialmente era fortemente legata alla Pasqua. Vigilanzio (404) sostiene che. "L'Alleluia non va cantato mai, tranne che a Pasqua". Più chiaro ed esauriente è un testo di sant'Agostino riguardo al canto dell'Alleluia, contenuto in una sua lettera (55,32) scritta intorno al 400: "Riguardo invece a cantore l’Alleluia durante quei soli cinquanta giorni [il tempo pasquale] nello Chiesa non è osservato dappertutto, poiché vi sono luoghi ove lo si canta pure in altri tempi e ciò varia secondo le diverse usanze dei luoghi, ma dappertutto lo si canta in quegli stessi cinquanta giorni”. Sembra che sia stato san Gregorio Magno ad estendere l'uso dell’Alleluia per tutte le altre Messe (testimonianza in una sua lettera a Giovanni di Siracusa), anche se questo fu un vantaggio e uno svantaggio. Nota lo Schuster (Liber Sacramenctorum): "Il grande pontefice però non previde le conseguenze del suo sapiente decreto. Un po' per volta le feste dei santi e poi quelle feriali, in cui si ripete lo Messa domenicale, persino quelle votive penitenziali ebbero l'Alleluia; così quello che in origine era il sacro carme pasquale per eccellenza divenne il canto quotidiano del coro e perse tutta quella smagliante bellezza che aveva per gli antichi i quali con esso salutavano Cristo risorto all'aurora del giorno di Pasqua".
La grande arte dei compositori delle melodie gregoriane, impreziosirà di abili melismi sulla sillaba finale (lo 'Jubilus') il canto dell'Alleluia, specie nel secolo settimo. Proprio sant'Agostino dedicherà pagine bellissime a questi melismi, a questo canto ineffabile in cui la parola, troppo limitata, deve lasciare il posto ad un gaudio senza parole. Nel canto ambrosiano esistevano melismi alleluiatici anche di 500, 600 note. Ancora sant'Agostino, ci ricorderà nel suo La dottrina cristiana che le parole ebraiche, “Amen" e ”Alleluia", per uso antico, non erano state volutamente tradotte nella liturgia (vedi: I. Schuster, "Liber Sacramenctorum", parte III, pp 78-81, F. Rainoldi, "Psallite sapienter", pp 157-162).
L’Alleluia, in se stesso, non è stato molto considerato dai compositori del periodo successivo. Non rientra nelle forme liturgiche che i compositori rinascimentali sfrutteranno (come per esempio I'offertorio o il Gloria). Anche in tempi più recenti è rimasta la forma più appartata. Senz'altro tutti conoscono il famosissimo "Halleluja" di Georg Frederich Haendel, tratto dall'oratorio Il Messia. Ma questo, appunto, non è un pezzo liturgico (e tanto meno un'acclamazione al Vangelo) bensì un'abilissima versione musicale di cori angelici che si rimandano questo Alleluia da cielo a cielo, inneggiando al Cristo risorto che "regna onnipotente".
Prima di concludere questo rapidissimo e incompleto panorama storico, vorrei portare all'attenzione di tutti una bella tradizione che esiste nel mondo anglosassone riguardo il canto dell'Alleluia (anche qui da intendersi nel suo senso generale e non solo in riferimento alla sua posizione di acclamazione al Vangelo). La domenica precedente I'inizio della Quaresima, si svolge quello che viene definito "l'addio all'Alleluia". Consiste nell'impiegare all'inizio o alla fine della celebrazione canti che contengono la parola Alleluia, cosi da rendergli un simpatico saluto per poterlo poi ritrovare in pienezza nella sua "esaltazione" pasquale.
Da noi, si usa cantare una stessa melodia per I'Alleluia durante tutto l'anno liturgico. Ciò impoverisce di molto il senso anche simbolico di questo canto. Se io canto la stessa melodia per Natale e per Pasqua, non sentirò più quella melodia nella luce dell'una o dell'altra festa, ma con un "sapore" generalizzato. Molto più saggio è "dipingere" un periodo dell'anno liturgico con un suo proprio Alleluia, in modo che, appena ascoltato, questo mi richiami quello che vado ad ascoltare alla luce dell'anno liturgico. Gli Alleluia da noi usati non sono neanche molti; a mia conoscenza i principali sono i seguenti'. I'Alleluia "gregoriano" (melodia semplice ma troppo abusata e ormai quasi svuotata di senso),l'Alleluia di Taizé, l’Alleluia pasquale (altra melodia gregorianeggiante e presa dal canto medioevale "O filii et filiae”), l'”Alleluia"celtico" (di autore inglese moderno),l'Alleluia"delle lampadine" (canto molto giovanile e così chiamato per alcuni movimenti "coreografici" eseguiti durante lo stesso, che ricordano una persona nell'atto di svitare lampadine...). Dovunque sono stato, con rare eccezioni, questi sono gli Alleluia che più ho ascoltato. Credo che si dovrebbe un pochino svecchiare il tutto, più che altro cambiando mentalità sul ruolo che il canto liturgico in generale ha nel rito. La melodia di un Alleluia, a mio avviso, deve essere breve e concisa, così da favorire la ripetizione dell'assemblea. Pur se nella sua brevità, deve contenere un breve apice espressivo, così da coinvolgere emotivamente quanti la devono cantare. Laddove esistesse una buona schola cantorum, si possono preparare più versetti polifonici per permettere ai ministri di compiere percorsi più lunghi o movimenti più complessi (questo per esempio accade regolarmente nelle celebrazioni nella basilica di san Pietro); il popolo ascolta in polifonia quanto sta per ascoltare nella declamazione del diacono e del sacerdote.
Anche qui, insomma, c'è spazio per l'assemblea, per il coro, per il solista... facciamo nelle nostre menti quello spazio che necessita per progettare I'auspicato cambiamento di mentalità; cambiamento, sia detto con la dovuta chiarezza, da compiersi da parte di tutti e a tutti i livelli. Il problema non è I'Alleluia o il canto liturgico: il problema è il ruolo che deve avere la liturgia nella nostra vita e nella vita della Chiesa.
(Aurelio Porfiri, in La Vita in Cristo e nella Chiesa, n.9 - 2004)