Quando il canto è preghiera (di Novella Caterina)
La musica liturgica a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II nel 1972 il musicologo tedesco Helmut Hucke scriveva: "L'espressione musica nella liturgia è un' espressione recente". In realtà, già nel IV secolo, Ambrogio- "il più musicale dei Padri della Chiesa"- aveva affermato con forza che il canto fosse preghiera. "La voce canta per gioire- ripeteva il vescovo di Milano mentre la mente si addestra nell'approfondire la fede". Ciò nonostante, fino al Concilio Vaticano II, il canto e la musica sono stati considerati elementi ancillari al rito. È solo dopo la riforma conciliare che il paradigma cambia. Dal cantare durante la messa, si passa al cantare la messa. Al numero 112 della Sacrosanctum concilium si legge: "La musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggiore solennità i riti sacri". Da qui in avanti, canto e musica diventano essi stessi preghiera, liturgia, segno sacramentale in quanto, come gli altri segni, anche il canto e la musica aprono le porte al mistero, favorendo l'incontro con Dio.
Ombre e luci
A cinquant'anni dal Concilio il tema della musica liturgica resta però ancora controverso, tanto da poter affermare che non si è arrivati a una attuazione piena, consapevole e serena del binomio "celebrare cantando". Chi debba animare musicalmente le celebrazioni, cosa e come cantare sono questioni ancora aperte nelle nostre parrocchie che, a tal proposito, si presentano come realtà fortemente disomogenee. Si va dalle situazioni in cui i cori gestiscono in modo solipsistico l'animazione musicale, riservando gelosamente a sé l'esecuzione dei canti - alle volte addirittura rasentando l'esibizione concertistica - a quelle in cui l'assemblea è coinvolta, ma senza un minimo di preparazione, cosa che dà vita ad animazioni scorrette e, alle volte, indecorose. E ancora, dai casi in cui durante l'offertorio, ai matrimoni, si cantano le varie Ave Maria a quelli in cui vengono vietate categoricamente nell'intero arco della cerimonia. Anche la conflittualità non manca. A "litigare" sono gli innovatori con i conservatori, i giovani con gli adulti, i cori e le assemblee, i liturgisti con i musicisti, ma anche gli organi a canne con quelli elettronici e con le chitarre. Fortunatamente il panorama della musica liturgica non si compone solo di problemi o di conflitti, ma anche di azioni e progetti validi, di qualche immancabile ma necessaria speranza e della certezza che la risposta alle tante questioni irrisolte è, principalmente, nella lettura attenta dei testi conciliari e dell'Ordinamento Generale del Messale Romano.
Il ruolo dell'assemblea
Per secoli il canto nelle celebrazioni è stato un'esclusiva di chierici e cantori professionisti. La comunità di fedeli, che presenziava senza essere coinvolta attivamente, era impossibilitata a partecipare anche perché la lingua in uso era il latino. Il Concilio Vaticano II arriva in un momento in cui era normale che, mentre il sacerdote o i cantori intonavano strofe, la gente seduta tra i banchi sgranasse il rosario, pregando per proprio conto. Ma la messa è un rito che deve coinvolgere e vedere partecipi attivamente anche i fedeli. Questa conquista, rivoluzionaria, fu sancita dal Vaticano II e voluta fortemente dai padri conciliari che sentivano l'esigenza di una Chiesa tutta mobilitata, "con la molteplicità delle sue membra al servizio della propria missione nel mondo". In sintesi una Chiesa tutta ministeriale, nella quale accanto ai presbiteri ci fossero i ministri laici. Ciascuno con i propri uffici: da un lato quello sacerdotale ordinato, dall'altro quello battesimale dei componenti l'assemblea, del coro e del suo direttore, del salmista, degli strumentisti, della guida del canto dell'assemblea. I fedeli, da semplici spettatori, diventavano così "attori pienamente e attivamente consapevoli dell'azione sacra", chiamati a svolgere servizi ministeriali ben precisi. Questi, lungi dall'essere concessioni del sacerdote o oggetto di trattative, sono invece attribuiti dai testi ufficiali. Nelle premesse al Messale - a proposito ad esempio del servizio del coro e dell'assemblea - si legge che come il Gloria, il canto dell' offertorio, quello di ringraziamento dopo la comunione e quello finale sono prerogative del primo, le risposte, le acclamazioni, l'Alleluia o l'Hosanna sono propri dell'assemblea.
Quale canto?
Chiarito questo aspetto, c'è un'altra questione urgente da affrontare. Cosa cantare? Non ogni canto è adatto al rito che si sta celebrando. La pertinenza liturgica permette di distinguere le celebrazioni feriali da quelle festive e i diversi momenti della liturgia. Le feste e i tempi liturgici vanno sottolineati ed esaltati con canti appropriati. L'Alleluia del giorno di Pasqua - giorno di gioia, di resurrezione - non può essere uguale a quello di una domenica qualunque. Deve avere un impatto simbolico ed emotivo maggiore. Questo dovrebbe essere ovvio, come è scontato che a Pasqua non è pertinente intonare il Tu scendi dalle stelle.
Allo stesso modo, in una celebrazione, i canti e la musica devono essere inerenti ai gesti liturgici, aiutando ad esprimerne il significato. Per questa ragione cantare l'Ave Maria di Schubert durante la comunione in un matrimonio non è coerente. Come può un'invocazione alla Madonna sottolineare il mistero eucaristico? Tuttavia, nessun documento vieta di eseguirla in un momento appropriato della cerimonia nuziale, ad esempio durante le firme degli sposi e dei testimoni.
Detta così, la questione sembra chiara e di facile comprensione. Ma allora perché le animazioni musicali continuano ad essere piene di errori? La risposta è molto semplice: manca un'adeguata educazione degli animatori. Non basta essere bravi, portati, né aver studiato musica. Non basta neppure essere volenterosi o ferrati liturgicamente senza avere, dall'altro lato, competenze musicali. Occorre, in sintesi, una preparazione a tutto tondo perché, come diceva Benjamin Franklin: "Il genio senza formazione è come argento in miniera".
(Novella Caterina, in A Sua Immagine)
Don Antonio Parisi*: 'Tre interventi per alzare il livello"
Quali sono gli ostacoli maggiori all'attuazione dei temi che la riforma liturgica conciliare ha messo in campo?
Principalmente due: l'inesistenza di un'educazione musicale della gente comune, anche dei fedeli, e la scarsità di iniziative di formazione per gli animatori musicali delle celebrazioni. L'insegnamento del canto e della musica è marginale nelle scuole e l'animazione musicale nelle parrocchie è affidata ai volontari. Manca una progettualità diocesana che sani queste lacune e provveda, da un lato, a garantire il diritto dell'assemblea di essere educata alla musica, dall'altro a 'professionalizzare' l'operato dei ministri laici.
Quali sono gli errori più frequenti nelle celebrazioni?
La celebrazione liturgica è un'azione complessa ed esigente, fatta di riti significanti, linguaggio simbolico, azioni comunicative, forme espressive, adesioni comunitarie, partecipazione. Non si può celebrare in modo improvvisato ed estemporaneo, con una ripetitività celebrativa stanca del coro o guida dell'assemblea, unite alla conoscenza dei canti tra cui scegliere. Occorre preparare l'assemblea a cantare in modo dignitoso, con apposite e abituali prove, perché è il Signore che si celebra cantando. Perciò, bisogna mettere in campo la musica più bella, l'esecuzione più avvincente, perché tale musica è per Dio.
Potrebbe suggerire alcune azioni di immediata efficacia?
Direi che si potrebbe partire con tre interventi. Per prima cosa, organizzare concerti di musica sacra, da svolgere al di fuori della liturgia, per abituare i fedeli all'ascolto. Il secondo, naturalmente, dovrebbe essere quello di attivare scuole diocesane di musica liturgica. E infine, occorre prevedere una retribuzione per chi, nelle chiese, assicura ad ogni celebrazione un'adeguata animazione musicale, con preparazione, competenza e impegno.
* Sacerdote musicista dell'arcidiocesi di Bari-Bitonto, don Antonio Parisi è uno tra i maggiori esperti di musica liturgica in Italia. Autore di varie pubblicazioni sul tema e già consulente della Conferenza episcopale italiana in questo settore, da oltre trent'anni è impegnato nella qualificazione dell'animazione musicale nelle celebrazioni.
La musica liturgica a cinquant'anni dal Concilio Vaticano II nel 1972 il musicologo tedesco Helmut Hucke scriveva: "L'espressione musica nella liturgia è un' espressione recente". In realtà, già nel IV secolo, Ambrogio- "il più musicale dei Padri della Chiesa"- aveva affermato con forza che il canto fosse preghiera. "La voce canta per gioire- ripeteva il vescovo di Milano mentre la mente si addestra nell'approfondire la fede". Ciò nonostante, fino al Concilio Vaticano II, il canto e la musica sono stati considerati elementi ancillari al rito. È solo dopo la riforma conciliare che il paradigma cambia. Dal cantare durante la messa, si passa al cantare la messa. Al numero 112 della Sacrosanctum concilium si legge: "La musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all'azione liturgica, sia esprimendo più dolcemente la preghiera e favorendo l'unanimità, sia arricchendo di maggiore solennità i riti sacri". Da qui in avanti, canto e musica diventano essi stessi preghiera, liturgia, segno sacramentale in quanto, come gli altri segni, anche il canto e la musica aprono le porte al mistero, favorendo l'incontro con Dio.
Ombre e luci
A cinquant'anni dal Concilio il tema della musica liturgica resta però ancora controverso, tanto da poter affermare che non si è arrivati a una attuazione piena, consapevole e serena del binomio "celebrare cantando". Chi debba animare musicalmente le celebrazioni, cosa e come cantare sono questioni ancora aperte nelle nostre parrocchie che, a tal proposito, si presentano come realtà fortemente disomogenee. Si va dalle situazioni in cui i cori gestiscono in modo solipsistico l'animazione musicale, riservando gelosamente a sé l'esecuzione dei canti - alle volte addirittura rasentando l'esibizione concertistica - a quelle in cui l'assemblea è coinvolta, ma senza un minimo di preparazione, cosa che dà vita ad animazioni scorrette e, alle volte, indecorose. E ancora, dai casi in cui durante l'offertorio, ai matrimoni, si cantano le varie Ave Maria a quelli in cui vengono vietate categoricamente nell'intero arco della cerimonia. Anche la conflittualità non manca. A "litigare" sono gli innovatori con i conservatori, i giovani con gli adulti, i cori e le assemblee, i liturgisti con i musicisti, ma anche gli organi a canne con quelli elettronici e con le chitarre. Fortunatamente il panorama della musica liturgica non si compone solo di problemi o di conflitti, ma anche di azioni e progetti validi, di qualche immancabile ma necessaria speranza e della certezza che la risposta alle tante questioni irrisolte è, principalmente, nella lettura attenta dei testi conciliari e dell'Ordinamento Generale del Messale Romano.
Il ruolo dell'assemblea
Per secoli il canto nelle celebrazioni è stato un'esclusiva di chierici e cantori professionisti. La comunità di fedeli, che presenziava senza essere coinvolta attivamente, era impossibilitata a partecipare anche perché la lingua in uso era il latino. Il Concilio Vaticano II arriva in un momento in cui era normale che, mentre il sacerdote o i cantori intonavano strofe, la gente seduta tra i banchi sgranasse il rosario, pregando per proprio conto. Ma la messa è un rito che deve coinvolgere e vedere partecipi attivamente anche i fedeli. Questa conquista, rivoluzionaria, fu sancita dal Vaticano II e voluta fortemente dai padri conciliari che sentivano l'esigenza di una Chiesa tutta mobilitata, "con la molteplicità delle sue membra al servizio della propria missione nel mondo". In sintesi una Chiesa tutta ministeriale, nella quale accanto ai presbiteri ci fossero i ministri laici. Ciascuno con i propri uffici: da un lato quello sacerdotale ordinato, dall'altro quello battesimale dei componenti l'assemblea, del coro e del suo direttore, del salmista, degli strumentisti, della guida del canto dell'assemblea. I fedeli, da semplici spettatori, diventavano così "attori pienamente e attivamente consapevoli dell'azione sacra", chiamati a svolgere servizi ministeriali ben precisi. Questi, lungi dall'essere concessioni del sacerdote o oggetto di trattative, sono invece attribuiti dai testi ufficiali. Nelle premesse al Messale - a proposito ad esempio del servizio del coro e dell'assemblea - si legge che come il Gloria, il canto dell' offertorio, quello di ringraziamento dopo la comunione e quello finale sono prerogative del primo, le risposte, le acclamazioni, l'Alleluia o l'Hosanna sono propri dell'assemblea.
Quale canto?
Chiarito questo aspetto, c'è un'altra questione urgente da affrontare. Cosa cantare? Non ogni canto è adatto al rito che si sta celebrando. La pertinenza liturgica permette di distinguere le celebrazioni feriali da quelle festive e i diversi momenti della liturgia. Le feste e i tempi liturgici vanno sottolineati ed esaltati con canti appropriati. L'Alleluia del giorno di Pasqua - giorno di gioia, di resurrezione - non può essere uguale a quello di una domenica qualunque. Deve avere un impatto simbolico ed emotivo maggiore. Questo dovrebbe essere ovvio, come è scontato che a Pasqua non è pertinente intonare il Tu scendi dalle stelle.
Allo stesso modo, in una celebrazione, i canti e la musica devono essere inerenti ai gesti liturgici, aiutando ad esprimerne il significato. Per questa ragione cantare l'Ave Maria di Schubert durante la comunione in un matrimonio non è coerente. Come può un'invocazione alla Madonna sottolineare il mistero eucaristico? Tuttavia, nessun documento vieta di eseguirla in un momento appropriato della cerimonia nuziale, ad esempio durante le firme degli sposi e dei testimoni.
Detta così, la questione sembra chiara e di facile comprensione. Ma allora perché le animazioni musicali continuano ad essere piene di errori? La risposta è molto semplice: manca un'adeguata educazione degli animatori. Non basta essere bravi, portati, né aver studiato musica. Non basta neppure essere volenterosi o ferrati liturgicamente senza avere, dall'altro lato, competenze musicali. Occorre, in sintesi, una preparazione a tutto tondo perché, come diceva Benjamin Franklin: "Il genio senza formazione è come argento in miniera".
(Novella Caterina, in A Sua Immagine)
Don Antonio Parisi*: 'Tre interventi per alzare il livello"
Quali sono gli ostacoli maggiori all'attuazione dei temi che la riforma liturgica conciliare ha messo in campo?
Principalmente due: l'inesistenza di un'educazione musicale della gente comune, anche dei fedeli, e la scarsità di iniziative di formazione per gli animatori musicali delle celebrazioni. L'insegnamento del canto e della musica è marginale nelle scuole e l'animazione musicale nelle parrocchie è affidata ai volontari. Manca una progettualità diocesana che sani queste lacune e provveda, da un lato, a garantire il diritto dell'assemblea di essere educata alla musica, dall'altro a 'professionalizzare' l'operato dei ministri laici.
Quali sono gli errori più frequenti nelle celebrazioni?
La celebrazione liturgica è un'azione complessa ed esigente, fatta di riti significanti, linguaggio simbolico, azioni comunicative, forme espressive, adesioni comunitarie, partecipazione. Non si può celebrare in modo improvvisato ed estemporaneo, con una ripetitività celebrativa stanca del coro o guida dell'assemblea, unite alla conoscenza dei canti tra cui scegliere. Occorre preparare l'assemblea a cantare in modo dignitoso, con apposite e abituali prove, perché è il Signore che si celebra cantando. Perciò, bisogna mettere in campo la musica più bella, l'esecuzione più avvincente, perché tale musica è per Dio.
Potrebbe suggerire alcune azioni di immediata efficacia?
Direi che si potrebbe partire con tre interventi. Per prima cosa, organizzare concerti di musica sacra, da svolgere al di fuori della liturgia, per abituare i fedeli all'ascolto. Il secondo, naturalmente, dovrebbe essere quello di attivare scuole diocesane di musica liturgica. E infine, occorre prevedere una retribuzione per chi, nelle chiese, assicura ad ogni celebrazione un'adeguata animazione musicale, con preparazione, competenza e impegno.
* Sacerdote musicista dell'arcidiocesi di Bari-Bitonto, don Antonio Parisi è uno tra i maggiori esperti di musica liturgica in Italia. Autore di varie pubblicazioni sul tema e già consulente della Conferenza episcopale italiana in questo settore, da oltre trent'anni è impegnato nella qualificazione dell'animazione musicale nelle celebrazioni.